“Roses” dei Cranberries

di / 5 maggio 2012

Diciamo subito le cose come stanno, l’onestà è importante. Prima di questo album, pensando ai Cranberries mi venivano in mente solo “Zombie” (1994), “Animal Instict” (1999) e “Just My Imagination” (2000), accompagnate dalla mia preferita, “Promises” (1999). Il resto era buio totale. Ho deciso quindi di ascoltare qualcosa di più di questa rock band, partendo dalla fine (cosa che adoro fare in troppe situazioni, sbagliando). Partendo da Roses, l’ultimo album uscito a fine febbraio in tutto il mondo, fino agli albori.

Del gruppo si sa più o meno tutto. Fieri irlandesi, si formano tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, raggiungendo il successo nel 1993 e collezionando milioni di dischi venduti per circa un decennio, grazie a singoli semplici, travolgenti e diretti capaci di far innamorare i teenager di mezzo mondo. La sublime e inconfondibile voce di Dolores O’Riordan accompagnerà la band fino al 2004, anno in cui decide di intraprendere la carriera da solista. Nel 2009, la tanto attesa reunion, seguita da un tour di successo.

Il 24 febbraio 2012 esce Roses, l’ultimo capitolo di questa storia quasi ventennale. A colpire da subito è la differenza evidente tra il lavoro appena uscito e gli album passati; in precedenza, il rock era molto più marcato, c’era tanto spazio per chitarre e suoni aspri, con punte di hard rock. Nel nuovo album, la voce di Dolores si fa più dolce e soave, a tratti sembra quasi sussurrare le parole, ma con risultati sempre ottimi. Il primo singolo estratto è “Tomorrow”, trainante brano del disco, dal testo romantico e sound decisamente Irish folk, dall’atmosfera molto rilassata. Il testo è semplice e viene ripetuto, come in “Show Me” , dove si parte piano per poi arrivare a un ritornello diretto e ripetitivo.
Altro pezzo che colpisce molto è sicuramente il primo ad apparire nel disco, “Conduct”. Dopo un intro di circa 45 secondi, fatta di suoni distorti e colpi di batteria, la sublime voce di Dolores esce dal guscio, prima molto delicatamente, poi sempre più forte, in un crescendo di carica emotiva che trascina ed è trascinata dalla chitarra. «Take back my life / take back my heart». Sofferenza e disperazione.
Stessi ritmi e stesso sound lo ritroviamo in “Fire and Soul”, sussurri e chitarra accompagnano l’ennesima ballata d’amore che non stanca mai. In “Raining in My Heart”, il testo più riuscito dell’album e il coro prendono pieno possesso della scena.
Se c’è un momento dove invece questa tendenza viene invertita è di sicuro “Schizophrenic Playboy”: il tono della cantante, le parole della canzone e la base cambiano nettamente, lasciando spazio a strofe che sembrano grida di dolore e riportano alla memoria vecchi successi.
Un po’ dei Cranberries anni ’90 li ritroviamo in “Astrel Projections”, nello specifico nel ritornello «I will go down / I fly away», ripetuto quasi ossessivamente, fino a scomparire.
Per concludere, un’insolita e nuova atmosfera avvolge invece “Waiting in Walthamstow”, la composizione più originale e profonda di Roses.

Se vi aspettate il carattere e l’energia rock dei Cranberries di dieci anni fa, state lontani da questo nuovo album. Il sound è decisamente cambiato e le innovazioni sono tante, a partire da un netto avvicinamento al genere indie, rendendoli sempre attuali e al passo con i tempi. Tutto ciò senza mai abbandonare l’Irish folk che identifica la band, grazie all’uso di strumenti e suoni tipici della loro verde e incantevole terra. Le perfette scelte melodiche e le ballate acustiche donano suoni rilassanti: in certi momenti, si ha la sensazione che più o meno si capisca quando entrerà o uscirà dal campo la voce di Dolores, che da sola si era un po’ persa, mentre questa reunion fa bene a lei come a noi. Welcome back!

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