“La gente muore di fame” dei Mostri

di / 12 giugno 2012

A Roma, il loro album era atteso da un bel po’ di tempo. Prima l’uscita di un singolo nel 2008, poi altri, fino a maggio 2011. L’attesa saliva di concerto in concerto, tra il Circolo degli artisti, la Locanda Atlantide, Firenze, Milano. Cominciavano a essere “chiacchierati”. Il popolo del web e la sua strana natura si divideva tra chi li reputava gli Oasis “de Noantri”, e chi invece li descriveva (sbagliando) come 4-5 pariolini viziati, fascisti e rissosi (?). Tutto ciò fino a maggio 2012, quando è uscito finalmente il loro album d’esordio e ognuno ha potuto trarre le sue conclusioni.
La gente muore di fame è un disco completo, a 360°, anche se d’esordio. I Mostri affrontano gioie e dolori, belle serate e problemi quotidiani, tutto in salsa romana e, per estensione, italiana. Non a caso il loro primo singolo, “Piazza Trilussa”, parla di bevute in compagnia, risate e maghi indiani: «Piazza Trilussa tutte le sere, le stesse facce del mio quartiere…». Il genere di riferimento è sicuramente il britpop anni ’90, ma non mancano rock, pizzichi di punk e ska/reggae, tanta chitarra elettrica e voce tirata fuori fino a sfiorare cori da stadio.

Altro singolo tosto e diretto è “Cento lame”, con chiaro riferimento a una moda mai passata, quella del coltello in tasca. La canzone è una cover ben riuscita di “Lupe brown” dei Fratellis. Nel testo si parla appunto di serate finite male, di giornali che fanno passare Trastevere per il Bronx; proprio in quel quartiere è girato il video della canzone, tra vicoli, motorini, risse, piazzette, cornetti e birre sugli scalini. I soliti visionari ci hanno visto l’esaltazione e la celebrazione del rito della “puncicata”. Contenti loro.

“Camilla” si apre così: «Questa cocaina, è proprio una rovina, di chi si deve alzare presto la mattina… Se stasera usciamo, dove ci ubriachiamo…», con batteria e chitarre che fanno da cornice a una storia d’amore mai avvenuta, in un romanticismo urbano mai esploso, solo immaginato. Il ritornello è invece per tutti: «Sono arrivati gli anni dieci e tutti sembrano infelici!». A tratti, chitarra e coro fanno molto Green Day.

Roma e la sua quotidianità sono i temi centrali di quasi tutto l’album. In “Questa è la mia città” si parla di motorini, cemento e palazzi, in una visione più critica della realtà cittadina, dove il traffico e la delinquenza dominano la scena, ma il Tevere scorre sempre più lento. Il sound è incalzante e carica davvero molto.

Allo stesso modo, i problemi della gente normale vengono ripresi prima in “Che Italia è?” e poi in “Noi non facciamo niente”, sebbene in quest’ultimo caso si faccia dell’ironia prendendo in giro clamorosamente chi lavora e si sbatte tutti i giorni. Dissacranti, come quando cantano: «Quanti radical chic, che giocano a fare i freak…»,  e ironizzano sui soliti benpensanti sempre pronti a giudicare.

Nel complesso, l’album ha davvero stile e, se senz’altro piacerà a molti, molti altri non lo sopporteranno. Ai Mostri, però, sembra importare poco. Raccontare la vita dei ventenni, le loro giornate passate a studiare o a lavorare, pagando affitti alti e aspettando il fine settimana per avere libertà e sentirsi vivi, è il loro obiettivo. Le storie sono fortunatamente distanti dai racconti di Moccia e dai lucchetti di Ponte Milvio; Pietro e soci raccontano la normalità della gente comune come pochi avevano fatto fino ad oggi, e sicuramente anche chi non abita all’interno del raccordo apprezzerà questo album. Il 23 giugno vi aspettano al Bing Bang. Daje.

(I Mostri, La gente muore di fame, Goodfellas, 2012)

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