“Lo schiaffo” di Christos Tsiolkas

di / 7 luglio 2012

Melbourne. Casa di Hector e Aisha. Lui greco, lei indiana. Una bella coppia, una bella casa, due figli. Tutto è pronto per il delizioso barbecue tra colleghi e amici. Sono arrivati. I convenevoli, le presentazioni.

Prendono ordinati il loro posto come una compagnia di attori sapientemente istruita: battute a memoria, le entrate, le uscite. I bambini guardano un DVD, i mariti bevono birra. Manoli, il padre di Hector, controlla la brace. Cinque minuti ed è fatta. Lavoro, figli, scuole pubbliche e private. Stuzzichini, lenticchie, musica jazz. Per una ventina di pagine.

Sapientemente nascosto da un manto erboso perfettamente tosato, tra le pieghe delle camicie di lino, a bordo piscina, all’ombra di gonne che si muovono leggere nella frescura di un tardo pomeriggio estivo, un’altra esistenza può procedere melmosa, in un intrico di relazioni clandestine, sigarette perfide, parole interrotte, bicchieri di vino e pasticche di Valium. E basta uno schiaffo a sviscerarla e a insozzare la scena.

Capitolo dopo capitolo, l’autore ci sbatte nello stomaco dei personaggi e da lì ci lascia osservare il bel quadretto al profumo di semi di aneto che si autodistrugge spietatamente. Ci fa voyeur ed è voyeur con noi, regolando i flussi delle coscienze ipocrite e scegliendo la colonna sonora per la loro messa a nudo: parte da Armstrong e Benny Goodman e passa per i Public Image e i Joy Division, spiando con un sorriso beffardo le sue creature che si muovono convulse, che cercano di salvarsi.

Quella di Christos Tsiolkas, romanziere australiano di origini greche che arriva con Lo schiaffo alla sua terza fatica, è una prosa appuntita, sporcata da un linguaggio che, grazie alla traduzione di Marco Rossari, sentiamo incredibilmente nostro. Le informazioni sono snocciolate poco alla volta, anticipate spesso da curiose spie, e questo lento avvicinarsi di pezzetti di verità invoglia il lettore ad attraversare rapidamente quasi cinquecentocinquanta pagine senza registrare rallentamenti del ritmo o cali di tensione narrativa; senza provare sentimenti di rabbia e di compassione, che sarebbero forse scontati davanti alla bruttura di certi rivolgimenti, ma accendendosi invece di quella stessa straniante attrazione che si può provare davanti a ciò che è legalmente o moralmente scorretto.

Vi lascio con un interrogativo che può sembrare banale, ma credetemi, non lo è. Di chi è il piede rimasto nudo in copertina?


(Christos Tsiolkas, Lo schiaffo, trad. di Matteo Rossari, Neri Pozza Editore, 2011, pp.535, euro 18)

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