“Io e te” di Bernardo Bertolucci

di / 26 ottobre 2012

Bernardo Bertolucci torna al suo mestiere e a parlare di giovani, di quel tumulto emotivo che vivono un corpo e un animo in crescita, unico ed eccezionale nella sua singolarità.
Sono passati dieci anni da The Dreamers, dieci anni di Storia e una difficile malattia che hanno portato il regista emiliano a raccontare le sue storie da una sedie a rotelle e a vivere quei disagi e quelle paure che tanto lo avvicinano con i suoi protagonisti.
Lorenzo e Olivia, i due protagonisti di Io e te, sono due fratellastri accomunati dal violento bisogno di solitudine e da un legame paterno totalmente assente che si concretizza in una inevitabile mancanza di figure di riferimento e di equilibrio. I due si trovano a condividere lo spazio buio e claustrofobico di una vecchia cantina in cui entrambi combattono le proprie lotte: Lorenzo si nasconde per dare libero sfogo agli innocenti vizi di un ragazzino vittima delle pressioni materne e che non riesce a integrarsi con i suoi coetanei; Olivia si trova a lottare contro la tossicodipendenza e l’apatia emotiva che questa porta con sé. Una settimana di convivenza forzata che porta i due fratelli a ritrovarsi e a cercare nell’altro quella chimica atipica che li estranea dal resto del mondo e che forse solo un legame sanguineo può generare. In una cantina dove tutto è vecchio, i due giovani costruiscono il loro futuro e riscoprono l’essenzialità di un rapporto spontaneo di complementarietà.
Lo stile registico asciutto e se vogliamo un po’ demodé, privo di patinature e forzature, mette in risalto l’emotività dei personaggi che emergono al punto da farsi universali: la storia che seguiamo sullo schermo non è più quella di Lorenzo e Olivia, ma quella di due anime, di due caratteri in fase di rivoluzione, rilegati in una cantina senza luogo e senza tempo. La vera location del film diventano i due corpi che ospitano il racconto dell’evoluzione e della scoperta del proprio essere e dell’amore per sé,  strettamente legata all’amore verso l’altro. L’ingenuità del Super Io di Lorenzo che lo illude di essere autosufficiente, diventa la medicina per il male fisico ed emotivo della dipendenza di Olivia. Il quattordicenne ancora  ignaro e fino a quel momento protetto dalla malvagità della vita, è costretto a un brusco risveglio e all’obbligo di vivere quella crescita che lo porterà ad attraversare la soglia dell’età adulta. Olivia al contrario, offuscata da un egocentrico senso di vittimismo e di odio per la vita, si lascerà contagiare dall’innocenza del fratello e riscoprirà il gusto di vivere serenamente le proprie debolezze.
Bertolucci, forzato dalla sua malattia a guardare la vita da un’angolazione diversa, predilige uno sguardo che viene dal basso, privo di giudizi o di forzature, volto a far emergere con naturalezza la vera natura del personaggio.
Il film, anche se tratto dal romanzo di Niccolò Ammaniti, assume uno sguardo proprio e unico, un’opera altra, con una vita propria che si palesa nel finale positivo e diverso rispetto a quello del libro.
La colonna sonora accompagna in ogni singola nota e parola la crescita dei personaggi e lo sviluppo del loro rapporto, diventando un narratore esterno tutt’altro che invasivo, ma perfettamente integrato con il visivo.
La scelta di affidare il ruolo di protagonisti a due attori sconosciuti, alla loro prima esperienza davanti alla macchina da presa, può essere letta come una pecca narrativa allo sguardo di un occhio poco attento. In realtà anche questo aspetto va a sommarsi a tutti gli altri nella volontà di rendere il racconto universale e scollegato dalla fisicità dei corpi. Se al posto dei promettenti Jacopo Olmo Antinori e Tea Falco ci fossero stati due volti già conosciuti al grande schermo, si sarebbero persi quel candore  e quella forza che i due volti nella loro unicità portano con sé. Dalla loro recitazione emerge con chiarezza la presenza di un maestro capace di guidare i propri attori e la loro abilità, senza forzature e con un naturale e spontaneo controllo direttivo.
Lorenzo e Olivia si discostano enormemente dalle figure di adolescenti che la televisione e gli altri media ci hanno insegnato a conoscere. La loro crescita è attraversata da un’inquietudine più adulta che adolescenziale, forse più cruda ma senza dubbio più autentica.
Io e te va a sommarsi all’attuale tendenza del cinema italiano di raccontare storie di giovani atipici e dei loro nuclei familiari non proprio “Mulino Bianco”, nel tentativo di far emergere alcune delle problematiche spesso sottovalutate da adulti troppo impegnati a combattere crisi economiche e sociali, piuttosto che a proiettarsi sul futuro.
Io e te è il racconto di due giovani che si trovano a crescere senza modelli, costretti a combattere le proprie battaglie senza una guida. È una critica al bisogno egoistico di sentirsi autosufficienti e indipendenti da ogni legame. È la prova che in un “noi” è racchiusa la forza che porta a rivedere la luce e a uscire dalla buia  prigione del Super Io.

(Io e te, regia di Bernardo Bertolucci, 2012, drammatico, 97’)

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