“John Gabriel Borkman”, regia di Pietro Maccarinelli

di / 1 novembre 2012

Fa freddo sulla scena. Meglio coprirsi bene, anche per assistere. Perché così, immobilizzati mentre tutto il resto accade, si rischia di rabbrividire. Sul palco luci azzurre, poche sedie e una poltrona, che spostandosi o negandosi agli occhi diventano due piani diversi, quelli di casa Borkman. È lì che risiede l’azione, lì che si snoda la vicenda di John Gabriel Borkman, dramma composto da Ibsen nel 1896 e portato in scena al Teatro Eliseo dal 16 0ttobre al 4 novembre, per la regia di Pietro Maccarinelli. Il protagonista, così pesante da intitolare l’opera, è un ex direttore di banca, arguto, rapace, un perfetto rampantista anni ’80 piovuto un secolo prima. John Gabriel (Massimo Popolizio) credeva in se stesso, nel potere che lo aveva scelto per affinità elettiva, con una sola carezza. Nel potere che lui stesso era in grado di creare, come una pianta da innaffiare finché il cielo non sentisse prurito. Si riteneva un demiurgo, capace di costruire il destino proprio e la fortuna altrui. Qualcosa, però, lo ha tradito. Investimenti miopi, tempi sbagliati o forse lui stesso, la sua smodata fiducia nel possibile. Borkman sprofonda, nell’ignominia del disonore, nel dissesto che prosciuga per prima la sua faccia e poi le sue ricchezze. Inabissandolo in carcere e poi nascondendolo al mondo dentro una stanza che ormai non gli appartiene.
La sua nuova vita si consuma al gelo, con un lampadario che non lo illumina abbastanza, che non vuole guardarlo più del necessario. Al piano di sotto scorrono le donne a contendersi il proscenio.
E non solo quello. Le sorelle Rentheim, gemelle e opposte, l’una moglie (Manuela Mandracchia) e l’altra cognata ed ex compagna di Borkman (Lucrezia Lante della Rovere) si ritrovano dopo otto anni, perché il presente scalpita e chiede udienza oltre la porta. In quella distanza, di giorni e di affetti, il piccolo Erhart (Alex Cendron), figlio dei due coniugi, è diventato adulto. Almeno secondo i suoi vestiti. In realtà balbetta, come il suo cuore, diviso tra l’amore per la zia che lo ha allevato nei momenti scuri e la soggezione nei confronti di sua madre, che dopo tanta lontananza ha deciso di riconquistarlo, come un bottino usurpato. È ammaliato dalla sua età, dalla giovinezza che lo chiama con forza, perché goccerà via se non saprà afferrarla. Ma soprattutto Erhart è il loro conflitto incarnato, quello che una non è mai stata, ovvero madre biologica, e quello che l’altra non diverrà mai, ovvero madre effettiva.
Ognuno vive la sua solitudine, la struggente incomprensione dell’altro. A Borkman resta solo un amico, Foldal (Mauro Avogadro), autore di un testo mai pubblicato e di una figlia che preferisce fuggire altrove, a suonare il pianoforte, a respirare altra musica.
Borkam però non si arrende, capisce di aver atteso troppo, di essere appassito oltre ogni data e comincia a pensare che forse una rivincita è ancora realizzabile, che il fiato di quelle ricchezze bisbiglia ancora sotto il terreno, come un metallo da estrarre, come un altro finale per il suo copione. Ma il freddo, appunto, è tanto. Tanto da tagliare, tanto da tagliarsi, da tramutarsi in fretta in un bosco ossuto, dove sopravvivere alla notte è davvero una sfida.
Popolizio offre una prova straordinaria, una voce che attraversa le battute, le cesella e poi le impugna come un fendente. È il padrone del pubblico, anche quando non appare. Anzi, la sua assenza ingombra di più, diventa ansia di vederlo affacciarsi, è il fantasma dei suoi errori e dei rimpianti collettivi. Lo slancio vitalistico punito fino all’estremo, il contrappasso antropomorfo della sua arroganza. Il self-made man ridotto a ectoplasma, a trapestio di passi che disturbano il soffitto. Dramma asciutto e compatto, musiche intense, essenziali, che salgono fino a ferire.
Testi inchiodanti, atemporali, che calano da un’epoca x e continuano a parlarci. Della fragilità che ci abita, c’infetta, ci racconta di non essere mortale. E di cui ogni giorno cerchiamo di scordarci.

John Gabriel Borkman
di Henrik Ibsen
regia di Pietro Maccarinelli
con Massimo Popolizio, Manuela Mandracchia, Lucrezia Lante della Rovere

In scena al Teatro Eliseo di Roma, dal 16 ottobre al 4 novembre 2012.

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