“L’ultimo comunista” di Matthias Frings

di / 12 novembre 2012

Il muro fa rumore. E non solo quando cade. Troppo facile stordire con il tonfo. Il muro parla sempre. Quando vive e r-esiste, quando si erge con naturalezza, come se fosse un albero, come se la sua altezza dipendesse dalla terra. Questo libro ha un muro in mezzo. O meglio, forse, questo libro è un muro in mezzo.

In mezzo a ciò che accade, che trasuda attraverso le sue vene.

La voce narrante è quella di Matthau Finga e il titolo della sua storia è Lultimo comunista (Voland).

Protagonista è Berlino, città spaccata, anche quando è ancora intera, trafitta da due sensi di marcia, opposti e perenni: chi si muove verso Ovest e chi verso Est. Finché può, finché una porta decide di sbarrarsi. A incarnare queste direzioni sono lo stesso Matthias e il suo amico Ronald Schernikau, ragazzi degli anni ’80.

Ma Ronald e Matthias non sono solo giovani. Ferocemente, presuntuosamente. Sono anche gay, altrettanto ferocemente, altrettanto forsennatamente. In un mondo che ribolle e in cui è difficile restare immobili. Entrambi si sostentano con poco, nella Berlino Ovest corrotta e consumata che strizza l’occhio all’America, che monetizza anche le smorfie e le trasforma in sponsor. Oscillano da un localeall’altro, ingoiano concerti e bollicine a buon mercato, civettano al bancone, ma non solo. Riflettono sui loro diritti, discutono soluzioni possibili, affollano riunioni, intasano dibattiti. Sono gay rivoluzionari o rivoluzionari gay? Prima ancora di rispondere scrivono. Matthias s’imbatte nell’impresaurticante di realizzare un saggio sull’universo omosessuale, sul ballo di cuori controcorrente. Riferisce senza tremori come i maschi s’innamorano di altri maschi, come flirtano in attesa dell’amore, come respira il loro ecosistema, tra calzoni aderenti e capelli frondosi. Il loro è un perimetro arredato in fretta, con le mode carnivore che inghiottono corpi e vestiti, con la frenesia di esserci, di commentare e siglare ogni istante. Vivere è mordere, ma occorre farlo con stile. E raccontarsi vuol dire sorridere mentre qualcuno sta scattando una foto.

Ronald invece ha all’attivo un romanzo di successo e la zavorra di un talento precoce. Sua madre Ellen è una donna di Berlino Est, amante dei suoi ideali e di un uomo sposato, un uomo come tanti che non riesce a scegliere, che trascina dietro di sé debolezze e legami, sperando che qualcosa si stanchi di seguirlo.

Rolo cresce senza padre, ma la sua intelligenza lo salva, gli permette di accorgersi del dolore intorno, del dolore dentro, di immortalarlo e sentirlo scalciare. Gli permette di diventare uno scrittore. Di ritagliarsi un palco su cui sentirsi amato. Ma dopo i primi fasti, mentre tutti lo riconoscono e lo credono arrivato, la fortuna si ritira per meditare sul futuro.

Cos, nel momento in cui Matthias sforna un libro dopo l’altro, come fosse un mestiere qualunque, Ronald comincia ad arrancare e ogni buona occasione rivela presto le sue piaghe. Il nuovo testo non piace abbastanza, troppo denso, troppo confuso, una vertigine di punti di vista con cui è impossibile identificarsi. E lui aspetta che qualcuno capisca. Che il suo nome torni a sporcare le pagine. Tossisce in una stanza umida e si contende un uomo, come sua madre. Nel frattempo la Storia si dimena, maiuscola come non mai. I gay si ammalano di una sindrome nuova, che li prosciuga  come tronchi svuotati e li rende così magri da romperli col vento. C’è chi la chiama “la peste del piacere”. Più tardi sarà semplicemente AIDS, un contrappasso dilatato a chiunque voglia fare l’amore, per cui ogni organo diventa di vetro. E poi la protesta matura, fino a invocare il cambiamento, fino a voler scardinare ogni mattone. Al di qua e al di là del muro le due metà di Berlino mostrano le loro crepe. La Repubblica Federale s’inginocchia davanti al denaro e la DDR ne ha talmente paura da non saper evolvere. Le vicende di Ronald e Matthias, le loro biografie di personaggi letterari e uomini reali, scandiscono il “dentro” e il “fuori”, che si rovesciano l’uno nell’altro. Il dentro è il luogo a cui si appartiene o dove si è forzati a stare, il fuori quello  che ci attrae, la dimensione dell’altrove, ovunque esso sia. L’integrità ideologica dell’Est sognata da Ronald e da sua madre si contrappone all’Ovest libero e disinibito agognato da migliaia di altri giovani schiacciati dalla Stasi. E il doppio binario dell’infanzia di Ronald e della sua età adulta ci accompagna fino alla fine, ci lascia entrare dentro le giacche dei due protagonisti, delle loro paure, delle loro ambizioni scucite e poi rammendate. Ma il dominatore indiscusso di tutto il romanzo resta comunque Ronald. L’autore per primo è soggiogato dal fascino di una creatura sensibile, dotata e sensuale, leggiadra e malinconica, contraddittoria come gli esseri complessi. “L’ultimo comunista” appunto, l’uomo ancorato all’Amore più grande dei singoli amori, al forziere dei propri valori, tanto più preziosi perché non quantificabili. L’idealista schiantato a bocca aperta contro la realtà e i suoi spigoli più aspri.  Dopo i primi paragrafi più lenti, il romanzo prende velocità e si fa vortice, è una spirale in cui si mescolano volti e nomi dell’arte. Peter Hacks e Nina Hagen, Christa Wolf e Rainer Fassbinder partecipano al flusso di scosse politiche e sociali, al walzer di una continua militanza, in cui scegliere significa aderire ad un partito, mettersi in gioco fino in fondo, senza perdere la leggerezza.

A ventitre anni dalla morte del Muro, questo libro ha il potere di resuscitarlo, lasciando una fessura attraverso cui auscultarne i battiti. Per accorgerci che ogni parete in fondo è un sipario.

 

(Matthias Frings, Lultimo comunista, trad. di Chiara Marmugi, Voland, 2012, pp. 553 , 18 euro)

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