“Il destino di Hartlepool Hall” di Paul Torday

di / 2 febbraio 2013

Il destino di Harlepool Hall (Elliot, 2012) è il sesto romanzo di Paul Torday, vincitore del Bollinger Everyman Wodehouse Prize per la scrittura comica nel 2007 e autore di Pesca al salmone nello Yemen, portato sul grande schermo da Lasse Halltröm nel 2012.

Protagonista di questo libro è Ed Hartlepool, un personaggio degno delle pagine della letteratura inglese più classica: un dandy da XIX secolo trasposto alla data corrente, chiamato a confrontarsi con la pressante realtà delle e-mail, invece che con la romantica consistenza delle missive scritte a pennino, conservando il tipico atteggiamente distratto e svaporato verso ciò che lo circonda.

Ed vive in Francia, dove è fuggito inseguito dai debiti, in uno stato di splendido isolamento che va improvvisamente in frantumi quando giunge la notizia, a lungo attesa, della possibilità di rientrare nell’amata Inghilterra. Il ritorno sul suolo natio riporta Ed tra i vecchi amici, almeno quelli sopravvissuti allo scorrere impietoso del tempo, e tra tutti da Annabel Gazebee, ma lo obbliga anche ad affrontare il fallimento della fortuna di famiglia e il destino della mastodontica e impraticabile Hartlepool Hall.

Il romanzo racconta una storia apparentemente lineare ponendo una domanda semplice: cosa accadrebbe a Bertie Wooster, orfano di Jeeves, nel 2012? Ed Hartlepool purtroppo non se la cava affatto bene. In primo luogo deve soccombere al confronto con Geoff Tarset, in uno scontro tra dandismo e snobismo che vede il primo armato di una spada senza filo contro il secondo armato di bazooka. In secondo luogo Annable Gazebee non è una degna eroina austeniana, mancandole levità e fascino, seppure conservi quel tratto sofferente tipico delle gentildonne della campagna letteraria inglese. Infine i domestici di Hartlepool Hall non serbano nemmeno un lumicino di ingegno e si dimostrano incapaci di soccorrere il padrone in difficoltà.

Insomma tutto va al contrario in questa vicenda: il racconto perde il suo splendore comico dopo nemmeno cinquanta pagine e la discrasia tra il passato e il presente finisce per mettere il luce solo la grevità di un presente che mastica i vizi di Hartlepool come la ricchezza culturale che va con essi a braccetto. Ignari del consiglio di Tommasi di Lampedusa, i personaggi non sono in grado di «cambiare tutto per non cambiare niente» e l’incapacità di evolversi condanna ognuno di loro a una triste fine. Il protagonista stesso della vicenda esce dalla trincea ridimensionato e, oltretutto, privo anche del pur minimo spirito ironico, ed eroico, che lo aiuti ad affrontare le gioie della prossima fase contadina della sua vita.

L’autore si lascia, inoltre, distrarre dal carattere bizzoso e bizzarro che sviluppa il personaggio di Annabel e si dilunga per costruire un piccolo giallo attorno alla figura di lei e del di lei padre che sfilaccia la trama senza arricchire la vicenda principale, quanto piuttosto gonfiandone l’argine per sfociare in un rivolo nemmeno abbastanza corposo perché si possa conferire ad Annabel lo scettro di pazza.

Il destino di Hartlepool Hall è comunque un romanzo scorrevole, che ha il pregio di incuriosire il lettore sulla produzione complessiva di Torday, grazie agli appigli comici e alla capacità dell’autore di costruire una narrazione globalmente fluida; ed è proprio in virtù di questi pregi che il lettore perdona all’autore un’ultima pagina traditrice aperta e chiusa da uno scolastico: «La casa è ancora lì. Domandatevi pure se è vera, se è esistita davvero, se è mai esistita».
 

(Paul Torday, Il destino di Hartlepool Hall, trad. di Luca Fusari, Elliot, 2012, pp.244, euro 18,50)

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