“Il contratto” di Marco Vichi

di / 13 febbraio 2013

L’ansia della fama a qualsiasi costo, anche pagando prezzi sconosciuti, firmando qualsiasi cosa, anche Il contratto (Guanda, 2012) che Marco Vichi confeziona per il protagonista del suo nuovo romanzo.

M. Ronzini è uno scrittore, o almeno vorrebbe. I suoi libri affollano i cassetti di casa anziché gli scaffali delle librerie. È convinto di essere un grande, ma non ha ancora avuto l’occasione giusta per dimostrarlo a tutti. Un giorno riceve un inatteso invito a presentarsi negli Uffici di un misterioso ente con sede in via dell’Angelo Caduto che si dice fortemente interessato al suo lavoro. Ottima scrittura, pessimi contenuti: trite storie d’amore celebrative del nulla, sature di eroismi infantili. Bisogna essere più ambiziosi, gli dicono, puntare a qualcosa di nuovo, di audace, che affronti il tema del peccato. Un poema, ad esempio, una rivisitazione della Divina Commedia che, parlando della «verità del mondo ultraterreno», celebri i vizi e i piaceri dell’Inferno anziché la noia contemplativa del Paradiso cantata banalmente dall’Alighieri. Si intitolerà La Vera Comèdia. Dubbioso, Ronzini si lascia persuadere dalla promessa di infinita fama e ricchezza e firma un contratto con cui si impegna a cedere «agli Uffici tutto ciò di cui poco [gli] importa in cambio di tutto ciò che invece desidera».

La sera stessa, l’intrigante Vanessa, segretaria di incredibile bellezza del direttore degli Uffici, si insedia in casa sua per stimolarlo nella scrittura con la costante promessa di una ricompensa ulteriore, e di natura molto più personale, alla consegna del manoscritto, mentre il telefono di casa inizia a squillare, ogni qual volta Ronzini si mostri dubbioso, per ricordargli il contratto da onorare.

Il sospetto che qualcosa di insolito stia accadendo cede presto il passo al desiderio e all’ispirazione.

Non c’è un confronto reale con la tradizione letteraria del patto col diavolo, che da La tragica storia del Dottor Faust di Cristopher Marlowe in poi è diventato un topos dell’immaginario collettivo, ne Il contratto di Vichi. L’universo di riferimento rimane a fare da sfondo all’ambizione, altissima, di uno scrittore arrogante convinto dei propri mezzi e incapace di rassegnarsi all’evidenza della propria mediocrità al punto di rischiare il confronto con uno dei capisaldi della letteratura. Si parla di Ronzini, chiaramente, non di Vichi, che riesce con sapienza a declinare in una nuova versione il suo personaggio, già ampiamente rodato, di scrittore sgangherato e in fase di definizione professionale, con la costante ossessione per le donne e del sesso, in un romanzo leggero e scorrevole nella sua brevità.

Guardando (anche) al Bulgakov de Il maestro e Margherita,Vichi tira fuori una storia grottesca e divertente, venata da una leggera critica dell’ambizione e della ricerca della scorciatoia, in cui può esprimersi liberamente su un registro spensierato che gli consente ardite sperimentazioni poetiche senza correre il rischio di incappare in pericolosi paragoni con l’endecasillabo e il sirventese di dantesca memoria.

Quello che viene fuori è un divertimento (nel senso musicale del termine) seducente come solo il diavolo sa essere. Si deve essere divertito molto Vichi a tirar giù queste, neanche, cento pagine. E i lettori si divertiranno a leggerle.

(Marco Vichi, Il contratto, Guanda, 2012, pp. 95, euro 7,90)

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