“Febbre a 90’” di Nick Hornby

di / 16 marzo 2013

A vent’anni dalla prima pubblicazione arriva una nuova edizione di Febbre a 90’, romanzo d’esordio di Nick Hornby, riproposto da Guanda con una veste grafica rinnovata e una nuova introduzione dell’autore.

Già nell’introduzione all’edizione del 1992 Hornby spiegava i propositi e i temi del suo libro autobiografico. Prima di tutto c’era l’intenzione di analizzare la passione/ossessione per il calcio, in generale, e per l’Arsenal, in particolare, e con un approccio che si potrebbe definire qualitativo cercare nei vari episodi di questa vita “sportiva” (ognuno dei quali è collegato a una partita) il motivo per cui una relazione nata all’età di undici anni è destinata a durare più a lungo di qualsiasi altro legame, se si escludono i vincoli familiari. Poi c’era l’aspetto antropologico, affrontato anche qui in maniera poco rigorosa e molto pop, per il quale si prende la vita del tifoso come fonte di informazioni sulla società e sulla cultura che viviamo. Infine c’era la volontà di dare voce e dignità al semplice tifoso di calcio, non l’esperto o l’opinionista che sciorina dati e banalità, né l’hooligan che si sfoga la domenica allo stadio.

L’obiettivo, bisogna dire, è stato centrato, e ne sarebbe sufficiente prova il successo continuo che il libro ha raccolto durante questi venti anni. Nelle tre parti in cui è diviso ci viene raccontato lo sviluppo della relazione, innocuamente esasperata, del protagonista con l’Arsenal, da quel giorno del 1968 in cui il padre lo porta a Highbury, cambiandogli inconsapevolmente la vita, fino al 1991, quando decide di scriverne. Con la tipica capacità di chi sa far scorrere lungo le pagine argomenti delicati e complessi senza che il lettore sia costretto a compulsare i fogli per ricavarne qualcosa, Hornby passa in rassegna problemi reali e sportivi, con i secondi spesso metafore dei primi, perché, anche se per molti il calcio non è che uno dei tanti settori dell’industria dello spettacolo, il compito di chi scende in campo e l’aspirazione di chi allo stadio siede sempre sullo stesso seggiolino non è propriamente il divertimento. Come disse Alan Durban, vecchio allenatore gallese dello Stoke City, in una conferenza stampa: «Se volete divertirvi andate a vedere i pagliacci»; o, come spiega il protagonista, «lamentarsi perché il calcio è noioso è un po’ come lamentarsi per il finale triste di Re Lear; vuol dire non aver capito niente, e questo è quello che invece capì Alan Durban: che il calcio è un universo alternativo, serio e stressante quanto il lavoro, con le stesse preoccupazioni e speranze e delusioni e gioie occasionali».

A riprova dell’abilità narrativo-argomentativa, e sempre con una prosa agile, all’interno della quale si fa ampio ricorso a lunghe parentesi, mai moleste, che come tante finestre ossigenano il testo e la mente di chi legge, basta prendere i due lucidissimi capitoli consecutivi (”Arsenal-Ipswich, 14.10.72”, e “Arsenal-Coventry, 4.11.72”) in cui prima si descrive, con una secca riflessione sociologica, l’importanza dei tifosi da curva e di seguito, con il solito punto di vista obbligatoriamente maschile ma mai maschilista, il problema degli ultras violenti.

Nonostante siano passati venti anni, il calcio, soprattutto quello inglese, sia cambiato e l’Arsenal abbia perso l’austerità di un tempo per guadagnare molto più fascino, il testo è sempre quello; tuttavia la nuova introduzione con cui si apre l’edizione del 2012 è un elemento prezioso e offre l’acuto punto di vista dell’autore sui cambiamenti avvenuti. Ponendo l’accento sull’ammodernamento forzato degli stadi (in seguito anche alla strage di Hillsborough del 1989) e sull’enorme liquidità che le televisioni hanno cominciato a versare in cambio dei diritti di uno degli sport più seguiti al mondo, Hornby schiva il merito (o la colpa) di aver sdoganato con il suo libro il calcio per il ceto medio, dando il via al processo con il quale quest’ultimo ha poi sostituito la classe operaia all’interno degli stadi.

Se questo è un discorso non replicabile esattamente per l’Italia, le sofferenze e le gioie che la passione per il calcio porta con sé sono invece universali e provate da milioni di persone: tra venti, quaranta o sessanta anni saranno ancora quelle.


(Nick Hornby, Febbre a 90’, trad. di Federica Pedrotti e Laura Willis, Guanda, 2012, pp. 288, euro 17)

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