“666 Park Avenue” di David Wilcox

di / 3 aprile 2013

Ci sono nomi in grado di far sobbalzare gli spettatori sulle loro sedie prima ancora di avere una qualsiasi immagine davanti gli occhi. Uomini, personaggi che rimangono talmente vividi nei ricordi degli appassionati da valere da soli fiducia incondizionata. Uno di questi nomi è sicuramente quello di Terry O’Quinn: il Peter Watts di Millennium ma soprattutto il John Locke di Lost, per citare i due forse più significativi per lui e per noi.

Quando ABC annuncia la sua presenza nel cast di 666 Park Avenue la curiosità si fa già alta. La presenza del male, pronto a tentare i peccatori ignari di ciò che li circonda, viene portata in televisione dal produttore David Wilcox, riprendendo le vicende dell’omonimo libro di Gabriella Pierce, primo di tre romanzi di grande successo (almeno in America) usciti dal 2011 a oggi. La figura che incarna il potere oscuro risiede nel Drake, monumentale hotel situato al 999 di Park Avenue a New York, e risponde al nome di Gavin Doran. A chi altri sarebbe potuto essere legato O’Quinn?

Proprio nella sua proprietà lo raggiungeranno Jane e Henry, i giovani fidanzati destinati a diventare i “veri” protagonisti della storia. Nella speranza di trovare la fortuna dopo il loro trasloco verranno trascinati in una serie di eventi decisamente più grandi di loro, tra opportunità imprevedibili e impreviste per Henry e un legame mistico e inquietante che lega Jane allo stesso Drake. Presenze spettrali, sogni (o meglio incubi) oltremodo realistici sono soltanto la superficie di quanto si nasconde dietro le attività della famiglia Doran.

Premesse per un possibile futuro radioso? Neanche per sogno. Gli americani non hanno apprezzato appieno il prodotto giunto sulla ABC, e dai quasi sette milioni di spettatori dell’episodio pilota in un paio di mesi si è giunti a poco meno di quattro prima di Natale. Numeri allarmanti per le alte sfere del network, che anche in questo caso (e ormai vi stiamo presentando una collezione di situazioni simili) hanno portato alla inevitabile cancellazione dello show dopo la messa in onda dell’ultimo episodio.

Ma questa volta ci si è spinti anche oltre: 666 Park Avenue non ha ricevuto solo l’avviso di imminente chiusura, ma dopo la registrazione delle ultime puntate è stato misteriosamente allontanato dal palinsesto e rinviato a non ben precisate date estive lasciando gli spettatori orfani dei quattro episodi conclusivi, creando una serie di turbolenze andate avanti per settimane. Tutti gli appassionati hanno rincorso una confusionaria rete di notizie inerenti la messa in onda degli episodi prima su una rete australiana, poi su una spagnola (ma non in lingua originale), passando anche per il web. Alla fine, tra episodi finiti per sbaglio su internet e canali più o meno sconosciuti, chi ha voluto a tutti i costi giungere a questa tribolata conclusione è riuscito nel suo intento.

Inutile dire quanto lo show abbia risentito del trattamento ricevuto: le ultime ore sono state sicuramente più “confusionarie” rispetto a quanto mostrato prima dell’annuncio della cancellazione; inoltre, se l’arco narrativo è stato comunque chiuso (più di quanto si possa dire per altre serie del passato morte senza un finale) alcuni punti interrogativi sulla trama rimangono, alla luce di qualche situazione gestita non in modo appropriato. Una serie di problemi fin troppo ingombrante anche per poter sperare in una traduzione italiana, almeno nell’imminente futuro.

Ma allora perché consigliarvi 666 Park Avenue? Per il semplice fatto che ogni serie  vale ben oltre il numero di spettatori capace di attirare davanti al televisore o a uno schermo di computer. Perché i network non si scordino mai il rispetto per quei milioni di fan rimasti colpiti da quanto visto e completamente ignorati, a cui è stato riservato un trattamento straripante di indifferenza. E perché interpretazioni come quella solita, intrigante e appassionante di Terry O’Quinn non ci debbano abbandonare così presto.

 

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