Thelly, l’Amish

di / 18 aprile 2013

Wiggily bussò vigorosamente al finestrino del pick-up. Era sorridente mentre ondeggiava come un pendolo. Per il freddo si soffiava nei pugni chiusi.
«Dai, apri!»
Tobia tolse la sicura al vecchio Dodge marrone.
«Ma perché ti chiudi dentro?» chiese Wiggily.
«Non si sa mai».
«Cazzo soldato, mi vuoi far morire? La notte si gela in questo posto di merda!», disse Wiggily mettendosi a sedere, «Ce l’hai, almeno?»
«Sì, è qui dentro» gli rispose Tobia, allungando la mano per aprire il cruscotto.
Tirò fuori una bottiglia di vetro verde avvolta in un sacchetto di carta.
«Questa è roba forte, fa scoppiare il cuore».
«In questo postaccio anche l’alcool fa schifo», disse Wiggily strappandogli la bottiglia dalle mani. Svitò il tappo e si calò con avarizia il primo sorso in gola, poi si pulì la bocca col dorso della mano che scrollò energicamente più volte. Corrugò la faccia e strinse gli occhi in un brivido di dolore: «È davvero forte cazzo!»
«Passamela».
«Tieni, ma un sorso a testa».
«Rilassati amico, ne ho un’altra nascosta».
«E quell’altra cosa ancora, ce l’hai?»
«Sì, stai tranquillo amico» lo rassicurò Tobia, facendogli l’occhiolino. Portò la bottiglia ancora incartata alla bocca. Fece il suo assaggio e la ripassò subito a Wiggily.
Tobia abbandonò la fronte sul volante e sbuffò osservandosi il fango sugli stivali, poi chiese: «Alla fine il tenente te l’ha data la licenza?»
«Me la sono giocata».
«Porca puttana! Ma dico io, no?», imprecò, «potevamo tornarcene un mese a casa, dico io…»
«Il tenente è un coglione».
«Sì però anche tu, cazzo, non dovevi spaccare il naso a quel novello, dico io».
«Lo rifarei».
Andarono avanti così per un paio d’ore, raccontandosi stupidaggini e scolandosi entrambe le bottiglie. Poi Wiggily regolò lo schienale e si mise leggermente sdraiato, inarcò il braccio sinistro poggiandosi la mano dietro la testa a mo’ di cuscino, il braccio destro steso lungo il corpo. Tobia continuava a tenere la fronte sul volante, ogni tanto rinveniva con domande strane: «Te la ricordi Thelly? Quella santarella che venne l’ultimo anno a scuola?», chiese con ilarità. «Ti ho battuto».
«No, non me lo dire, hai vinto tu!?» esclamò Tobia con gli occhi luccicanti dal divertimento, battendo il pugno sul cambio, «Era vergine?»
«No…»
«Sembrava Amish, te la ricordi?»
Wiggily con uno scatto improvviso si raddrizzò sul sedile: «Ehi tu, cazzo! Non hai mai visto due Yankee che bevono?!», gridò con forza a un barbone che stava camminando davanti al pick-up, «Vattene o ti ficco un proiettile in testa, vai via!»,urlò con tanta potenza che gli si gonfiarono le vene del collo.
Il poveraccio, col terrore impresso sulla faccia, scappò via barcollando.
«Forse non ho scelto un buon posto per fermarmi», disse Tobia.
«Era pelosa come gli Amish», gli rispose all’improvviso Wiggily, archiviando con noncuranza il senzatetto. Entrambi scoppiarono a ridere fragorosamente.
Tobia cacciò dal taschino una bustina di marijuana e cominciò a rollarsi una canna.
Fumarono in tutto tre spinelli e si dilettarono a rispolverare la vecchia confidenza, con la tipica amarezza che accompagna i ricordi più felici. D’altra parte avevano passato l’infanzia insieme, si erano scambiati le ragazze quando ancora l’amore era tempo sottratto alla scoperta, erano andati a scuola insieme, poi avevano scelto entrambi di arruolarsi e di partire per il fronte. Si erano fatti forza a vicenda. Erano una coppia solidissima e così assemblati attiravano qualche, per niente sporadica, presa in giro: Wiggily era alto e muscoloso, biondo e di carnagione chiara, il tipico fenotipo vichingo; Tobia invece aveva ricevuto dal bisnonno italiano i colori bruni propri dei paesi molto assolati, oltre a una leggera forma di anemia e un’altezza limitata che gli aveva quasi causato l’esclusione dai Marines.
«Sono mesi che non sto con una donna», disse Wiggily.
«Ti sei fatto mollare da Sharon, dico io».
«Era una brava ragazza».
«Le hai messo le corna», gli rispose con un filo di voce Tobia, mentre si massaggiava le tempie.
«Lascia stare, ho un’idea. Metti in moto».
«Ma non posso guidare adesso».
«Metti in moto, dai!»
«Se mi fermano? Dico io, vuoi che puniscano anche me? Io ci tengo a tornare a casa».
«Lascia stare allora».
«Le punizioni e tutto il resto…», si giustificò Tobia, non senza imbarazzo.
Wiggily guardò fuori dal finestrino, scrutando le luci provenienti dalla via principale con l’intensità di un ghepardo che osserva un branco di antilopi. Il vialone, che s’intersecava con la stretta e buia traversa dov’erano parcheggiati, distava cinquanta metri e brulicava di squallore postbellico. Saltò giù dal pick-up e corse zigzagando in direzione della strada principale, lasciandosi dietro la portiera aperta.
«Dove vai?», gli urlò Tobia.
Dopo cinque minuti tornò indietro. Stringeva fra le braccia una giovane ragazza minuta e dai capelli posticci, che, nonostante il freddo, indossava una minigonna di jeans. La teneva sollevata da terra, bloccandola da dietro. Le tappava la bocca con la mano. Lei provava a divincolarsi, ma Wiggily era un soldato vigoroso e possente.
«Ma che cazzo fai?!», strepitò Tobia dal pick-up.
«Me la faccio, come quella Amish».
La ragazza, in un impeto di ribellione, riuscì a voltarsi e mordergli con cruda disperazione la guancia. Lui urlò portandosi le mani al viso. A quel punto lei fu libera di scappare verso il vialone, anche se la sua fuga fu interrotta più volte da cadute sull’asfalto, per via delle scarpe col tacco che indossava, troppo grandi per i suoi piedi.
Wiggily salì sul pick-up mentre Tobia continuava a guardare incredulo la ragazza che si allontanava gridando.
«Oh cazzo! Oh cazzo!» strillava Wiggily. Si controllò le mani e vide il sangue, aveva una striscia rossa sulla guancia, colava giù per il collo e iniziava a impregnare il bavero della felpa in dotazione ai Marines. Respirò odore di sangue e alcool.
Wiggily cominciò a piangere a dirotto, afferrò Tobia per la camicia e iniziò a strattonarlo: «Ti ricordi quando Thelly diceva che sono un pezzo di merda? Te lo ricordi?», frignava come un disperato , provando a fermare l’emorragia con la mano, «Tobia, io non sono un pezzo di merda, vero?», chiese in un pianto inconsolabile.
«No. No, Cristosanto dico io, certo che no».

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“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

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