“I cani e i lupi” di Irène Némirovsky

di / 23 aprile 2013

Il richiamo del lupo può echeggiare anche in una notte senza luna piena. Una notte di violenza e scelleratezza umana. Una notte in cui la connotazione data dal quel mostro del nazismo alla parola ‘razza’ traccia netti confini, dispensa disprezzo, odio, rancore e paura. Sentimenti che non toccano i cani che, pur della stessa specie dei lupi, sono invece accolti, addomesticati, protetti e coccolati.

I cani e i lupi (Adelphi, 2013), scritto fra il 1938 e il 1939 dall’ebrea russa Irène Némirovsky, emigrata in Francia per sfuggire alla persecuzione dei nazisti, è la storia della sua gente: «Questa è una storia di ebrei…venuti dall’Est, dall’Ucraina e dalla Polonia…una storia che, per ogni sorta di ragione, poteva accadere solo a degli ebrei». Così l’autrice del più famoso Suite francese sente la necessità di puntualizzare nel presentare questo suo romanzo ai librai presagendo possibili critiche. Del suo popolo intende parlare mostrandone pregi e difetti.

Come Ada Sinner, la protagonista de I cani e i lupi, Némirovsky dipinge volti e paesaggi cupi ma celanti una ancestrale vitalità, un passato selvaggio che richiama un forte legame di sangue, quella catena genetica che nemmeno Dio può spezzare o cancellare.

Così sarà per Harry, figlio dei Sinner ricchi, gli abitanti della parte alta della città di Kiev, sulle colline fra le ville aristocratiche dove gli ebrei arricchiti venivano accolti senza discriminazioni apparenti. Al paradiso della parte alta non erano invece ammessi i giudei del ghetto, quelli della città bassa vicino al fiume, che l’autrice descrive con il piglio di un’antropologa della marginalità, dove «…viveva la marmaglia, ebrei infrequentabili, piccoli artigiani e commercianti in squallide botteghe a pigione, vagabondi, frotte di bambini che si rotolavano nel fango e parlavano solo yiddish». A fare da spola tra inferno e paradiso c’erano poi i «maklers», gli intermediari a caccia di affari nella compravendita. A questo purgatorio apparteneva il padre di Ada, Israel Sinner, rimasto vedovo e ben presto costretto a mantenere anche la cognata, la zia Raisa, con i suoi due bambini Lilla e Ben.

Ada cresce così con i due cuginetti ma la sua povera e banale vita un giorno viene scossa dall’apparizione di Harry. Ada se ne innamora all’istante. Ma la distanza è incolmabile anche per una lupetta sognatrice come lei. Lo capisce quando, fuggendo dal pogrom, si ritrova insieme a Ben a chiedere aiuto, fra spasmo e senso di inadeguatezza, ai più fortunati parenti. Tutti si rivelano razzisti: «Si sentiva divisa in due e una parte di lei capiva perché la cacciavano, perché le si rivolgevano in tono furente: quei due bambini affamati rappresentavano per i ricchi ebrei un eterno monito, il ricordo atroce e vergognoso di ciò che erano stati e di ciò che sarebbero potuti essere».

Ada cresce continuando a spremere questo unico succo di illusione vitale rappresentato dall’amore per Harry, anche quando la rivoluzione russa, fagocitando il patrimonio paterno, la spinge a partire per Parigi insieme alla cugina Lilla e alla zia per studiare pittura. Gli eventi e la mancanza di alternative la porteranno a sposare Ben, cui è affezionata ma che non ama perché la mente e il cuore risultano indissolubilmente legati a Harry Sinner. Il caso vuole che anche lui si trovi a vivere nella capitale francese, proprio lì vicino, insieme alla sua bella e giovane moglie francese e al figlioletto.

Il richiamo del lupo è forte e i ricordi dell’infanzia distillati nei colori cupi dei quadri di Ada spingeranno il ricco rampollo verso quella bambina sporca e povera dall’aspetto selvatico e indifeso che una notte di tanti anni prima aveva fatto irruzione nella sua lussuosa villa alla ricerca di cibo e riparo.

Némirovsky non mostra alcuna compassione né si esime dal tratteggiare un ritratto poco indulgente del suo popolo. Con estrema lucidità e chiarezza forgia caratteri ben definiti per scolpire un mondo, una cultura sin dall’origine all’eterna ricerca di una propria identità e del porto sicuro di una patria. E il sapore più intenso del romanzo è dato dal fatto che spesso la proiezione della fantasia narrativa collima con l’autobiografia.


(Irène Némirovsky, I cani e i lupi, trad. di Marina di Leo, Adelphi, 2013, pp. 240, euro 10)

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