“Cuore cavo” di Viola Di Grado

di / 13 maggio 2013

Nel suo secondo romanzo, Cuore cavo (e/o, 2013), Viola Di Grado racconta la storia di Dorotea Giglio dal momento in cui, a venticinque anni, decide di porre fine alla sua vita, il 23 luglio 2011, nella sua vasca da bagno: la solitudine che non abbandona nemmeno dopo la morte, la vita che non smette di muoversi anche dopo la morte, i desideri che non si spengono, nemmeno dopo quell’ultimo gesto estremo. La morte come la traccia nascosta di un disco che, quando sembra terminato, riprende ritmo e melodia annullando il silenzio intercorso dall’ultima canzone. Il sopraggiungere della morte, infatti, non annulla l’esistenza di Dorotea, anzi è come se la duplicasse. Da un lato c’è il suo corpo, dall’altro c’è lei che ne osserva e critica i processi di decomposizione.

Da una parte la descrizione asettica dei procedimenti di decadimento corporeo, l’elencazione scientifica delle forme di vita che si nutrono, trovano rifugio e si moltiplicano all’interno di quella che è stata la manifestazione fisica della vita di Dorotea. E poi c’è l’altra parte, la mente, l’anima, lo spirito che annota scrupolosamente la trasformazione che sta avvenendo nella propria tomba.

Come in una sorta di triste legge del contrappasso, la ragazza si ritrova ancora immersa nel mondo che avrebbe voluto abbandonare e il suo nuovo stato d’essere acuisce proprio quei sentimenti che l’hanno spinta al gesto cruciale. In una realtà che non ferma il suo corso, Dorotea è sempre più sola, incapace di comunicare con chi ancora respira e si affanna a vivere; ogni forma di contatto col mondo dei vivi provoca solo paura e terrore, ma lei sembra quasi non accorgersi del suo essere diventata un fantasma.

L’unico rapporto umano che riesce a mantenere è col suo vecchio datore di lavoro, il quale cerca di aprirle gli occhi sulla realtà, ma gli occhi della ragazza, quelli fisici e quelli della coscienza, si sono chiusi per sempre. Le altre relazioni che instaura sono con personaggi del mondo dei morti, che la riportano a memorie lontane, a oscure storie di famiglia e la immobilizzano nella convinzione di una normalità che tale non è.

Un romanzo dai toni cupi e dall’atmosfera inquietante, resa attraverso un senso di soffocamento e di reclusione: Dorotea è prigioniera dei propri desideri insoddisfatti, dei propri timori, della sua macabra curiosità; è come se cercasse di fuggire di corsa senza accorgersi di calpestare voracemente un tapis roulant.

La scrittura della giovane autrice è senza dubbio interessante: Viola Di Grado costruisce la trama attraverso numerosi flashback e amalgama molteplici stili, dalla lettera, al diario, alla narrazione vera e propria. Cuore cavo è un romanzo intenso e a tratti coinvolgente, ma che forse non arriva a soddisfare le altissime aspettative create dal prestigio dei premi riconosciuti e dalla fortuna internazionale del precedente Settanta acrilico trenta lana (E/O, 2011).


(Viola Di Grado, Cuore cavo, E/O, 2013, pp. 166, euro 16)

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