“Il gabinetto del dottor Kafka” di Francesco Permunian

di / 29 maggio 2013

Il gabinetto del dottor Kafka di Francesco Permunian (Nutrimenti, 2013) non è l’antro caleidoscopico di un’ossessione, come accade nel manifesto del cinema espressionista Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene (1920), ma più prosaicamente un bagno alla turca della stazione di Desenzano sul Garda in cui l’autore del Processo ha lasciato a inizio Novecento un enigmatico graffito.

Questo è il centro del nuovo romanzo di Francesco Permunian, che si auto-elegge custode di una memoria letteraria e culturale intesa come liberazione dalle scorie di un progresso scorsoio. Nelle pagine della sua ultima invenzione, romanzo-diario-memoriale, si incontrano alla rinfusa i  personaggi che hanno innamorato il secolo scorso con il loro charme intellettuale, Robert Walser è rinchiuso in sanatorio in preda ad allucinazioni spaventose, Pasolini viene sbattuto in carcere per un malinteso e Franco Fortini parla di sé in terza persona come Giulio Cesare. Accanto ai grandi una messe di personaggi minori e ignoti, che si alternano con la spudoratezza della loro presenza scomoda e ingombrante. Sono prostitute in compunto ritegno al ricevimento di una scrittrice femminista, preti spretati che fanno a gara di ateismo e amiche d’infanzia convinte di essere le amanti del demonio.    

Filo conduttore di questo puzzle di storie apparentemente diseguali sono la miseria e la letteratura, per non dire la miseria della letteratura. Senza troppi complimenti Permunian prende le distanze con altero ritegno plebeo dagli scrittori di oggi e dal loro baraccone, preferendo una compagnia molto più equivoca ma reale. Questo vecchio brontolone delle lettere d’oggi si aggira per le stanze degradate della modernità editoriale scuotendo tristemente la testa, diviso fra slanci d’amore per i vecchi amici di una stagione e l’ingombro dei nuovi inquilini. In mezzo, fiume sotterraneo, scorre imperterrita la vita, triste alternativa a un’esistenza di carta.

Per leggere Il gabinetto del dottor Kafka con la migliore disposizione d’animo, bisogna essere drogati di letteratura. Questo libro parla più forte a chi abbia o abbia avuto velleità letterarie fallite, come sono sempre le velleità. Volontariamente, la bellezza di questa pagine si ritrarrà invece al lettore che cerchi una storia (qui una storia non c’è, semmai una storiella) che ammansisca un senso estetico sofisticato, aggiornato, superficiale. Starsene al bar delle lettere con Permunian è solo per vecchi alcoolizzati della ribellione e della fragilità.

Il regalo più bello di queste pagine sta infine nell’impressione di uno stile impreciso, affrettato. L’affabulazione, tenuta sottotraccia da questo autore mefistofelico, viene esaltata dalle inesattezze di una narrazione che farà storcere il naso al lettore abituato all’omogeneizzato editoriale che le grandi redazioni nazionali distribuiscono a piene mani in pagine precise e imbalsamate, tenendo l’etichetta “romanzo” su dei mostri sotto spirito. Dietro la voce di Permunian c’è invece la sua faccia, il disegno delle sue rughe, una storia che forse non interessa a nessuno. Ma forse sì.

(Francesco Permunian, Il gabinetto del dottor Kafka, Nutrimenti, 2013, pp. 186, euro 15)

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