“Stoker” di Chan-Wook Park

di / 18 giugno 2013

Primo film occidentale, prodotto dai fratelli Ridley e Tony Scott con Michael Costigan, per Chan-Wook Park che in Stoker dirige Mia Wasikowska, Matthew Goode e Nicole Kidman in un inquietante racconto di formazione.

India Stoker è una ragazza riservata e introversa, che vive in una grande villa isolata con i genitori e la governante. Con il padre Richard ha un rapporto speciale fatto di silenziose battute di caccia: è l’unico che riesce a vincere l’impassibilità che la ragazza sembra riservare al resto del mondo, inclusa la madre Evie che maschera con formale frivolezza la gelosia per la figlia. Il giorno del suo diciottesimo compleanno India attende il ritorno a casa del padre ma ad arrivare è invece una telefonata che ne annuncia la morte in un incidente. Al funerale si presenta Charlie, il fratello più giovane di Richard, bell’aspetto e macchina sportiva, che India non aveva mai conosciuto e di cui non aveva mai sentito parlare. Lo zio decide di rimanere per un po’ di tempo con loro. India, inizialmente insospettita e turbata dalla presenza dell’estraneo sente crescere un’attrazione mai provata per Charlie fino a scoprirne la vera natura.

Il regista di Old boy sbarca a Hollywood con un thriller teso e raffinato che indaga sul valore simbolico della violenza come mezzo di passaggio traumatico nel corso della vita.

C’è da rimarcare subito un aspetto di Stoker di Chan-Wook Park: l’assoluta perfezione formale della messa in scena che somma in sé un susseguirsi di trovate registiche perfettamente accompagnate dal montaggio di Nicolas De Toth, carico di suggestioni e analogie (la scena dei capelli spazzolati che diventano ciuffi d’erba), e dalla fotografia di Chung-Hoon Chung, che gioca alternando tenebra e luce per esplodere nel luminoso e colorato finale.

Per il resto, Stoker è una parabola sul passaggio all’età adulta e sulla fine dell’infanzia attraverso la scoperta della sessualità come appetito incontrollabile (qui il senso del riferimento contenuto nel titolo-omaggio all’autore di Dracula), dell’eros come impulso distruttivo e istinto di morte. Attraverso una simbologia precisa – le scarpe: sempre basse e uguali ogni anno quelle donate dal padre, troppo strette il giorno del compleanno; col tacco, aggressive e femminili quelle regalate dallo zio – India segue un percorso di crescita che passa attraverso la distruzione delle figure maschili per una graduale presa di coscienza della propria dimensione femminile. La rimozione della sicurezza della figura paterna le lascia aperta una strada nuova di libertà che si manifesta sin dall’incipit anticipatore: «Diventare adulti vuol dire diventare liberi», dice India parlando di responsabilità del colore dei fiori e del vento necessario a gonfiare una camicia. Quel vento è la scoperta del desiderio come forza violenta così come appare nella scena della masturbazione nella doccia, del desiderio come gioco di armonia e dominio nel frenetico duetto al piano con Charlie.

Partendo dalla sceneggiatura di Wentworth Miller (prima scrittura per l’attore noto per la serie tv Prison break), Park riesce a mantenere la tensione a livelli quasi ipnotici fino al momento in cui si inizia a rivelare la verità di Charlie. È in questa prima parte che Stoker raggiunge i momenti più potenti e alti, sia a livello registico che di trama, che culminano con l’arrivo della zia Gil e la sequenza a montaggio alternato nel motel dal sapore hitchcockiano, prima manifestazione di quel vampirismo simbolico e incruento che è l’essenza di Charlie. Nell’evolversi, però, l’intreccio non riesce a mantenersi al livello della forma espressiva e dell’allegoria sulla perdita dell’innocenza di India che attraversa tutto il film finendo per appiattirsi su un livello da horror adolescenziale.

Nei panni della silenziosa India Stoker, Mia Wasikowska riesce particolarmente bene, così come Matthew Goode come Charlie, affascinante e misurato nel mascherare la follia, e la vedova bambola interpretata da Nicole Kidman.

I brani eseguiti al pianoforte sono stati appositamente composti da Philip Glass.

 

(Stoker, di Chan-Wook Park, 2013, drammatico, 100’)

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