“L’estasi dell’influenza” di Jonathan Lethem

di / 24 giugno 2013

«Il mio lettore potrebbe, a ragione, essere sul punto di esclamare: “Comunista!” Una società aperta, variegata e moderna non può prosperare senza qualche forma di proprietà intellettuale. Non ci vuole una gran riflessione, però, per capire che c’è un’ampia quota di valore che il termine “proprietà” non è in grado di catturare».

Nel 2007, sull’Harper’s Magazine, esce un pezzo di Jonathan Lethem dal titolo «L’estasi dell’influenza»: punto centrale, l’influenza nell’arte, che non è né si tramuta in plagio. È così che l’autore di Brooklyn senza madre formula un’affascinante teoria sostenendo che la compresenza di un’economia di mercato e di dono all’interno dell’opera d’arte risulta fondamentale per capire che il riferimento, fino alla copiatura più appariscente, è arricchimento, è continuazione. Da Nabokov a Walt Disney, passando per Bob Dylan. Si ribalta così il punto di vista dell’idea bloomiana di angoscia dell’influenza, per cui i grandi scrittori post Canone hanno sempre avuto a che fare con il Canone, Shakespeare in primis, in modo diverso Dante e Cervantes, in un continuum fatto della costante dimostrazione di essere all’altezza di quel pilastro occidentale da cui non si può fuggire.

Attorno a questo pezzo è stata costruita, per l’appunto, L’estasi dell’influenza (Bompiani, 2013) una raccolta di articoli, opinioni, saggi, briciole autobiografiche riunite in un solo volume.

La sua Brooklyn e il lavoro come libraio, ovvero ciò che sarebbe stato se non fosse diventato uno scrittore; la passione per i fumetti e per il cinema: da una classifica spiccatamente avantpop dei cinque supereroi più depressi, a proposte per un ipotetico Il padrinoParte IV; il reputare le serie tv non degne dell’appellativo “opera d’arte”: troppo eteree, non inserite in un quadro, senza contorno; l’importanza di Calvino, Dick e Ballard nella sua formazione di scrittore e di lettore, e come, una volta deciso di andare a conoscere i primi due (l’autore italiano avrebbe dovuto tenere un incontro presso la libreria Cody’s Books, Berkeley, oltre al ciclo di lezioni ad Harvard mai avvenuto e che poi ha dato alla luce le Lezioni americane, dove Lethem aveva deciso di recarsi), pensò di aver subito un torto personale dopo aver saputo del loro decesso; l’11 settembre e le ripercussioni sulla società; e poi cosa accadrebbe se certi film fossero stati scritti all’epoca del cellulare; l’amore per la musica, l’incontro con James Brown, l’intervista a Bob Dylan, Otis Redding e Rick James; i suoi anti-Rushmore letterari fino ai surreali racconti su Drew Barrymore.

Una testimonianza intellettuale tanto controllata quanto emotiva: carta che sembra fatta della sostanza del web, riferimenti continui, velocissimi, “ipertestuali”, che consolidano l’autore de La fortezza della solitudine come punto di riferimento della generazione post DeLillo-Coover-Barth.

In fondo, una forma mentis protesa a pensare che la creazione artistica non parta dal nulla, ma dal caos: sembra quasi la sinossi postmoderna del primo principio della termodinamica. Sarà plagio questo?


(Jonathan Lethem, L’estasi dell’influenza, trad. di Gianni Pannofino, Bompiani, 2013, pp. 607, euro 23)

  • condividi:

Comments

News

effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

Archivio