“A Chloe, per le ragioni sbagliate” di Claudia Durastanti

di / 4 novembre 2013

È il settembre del 2003 quando Chloe Gilbert incontra Mark Lowe nei vagoni della metropolitana di New York. Lo stesso giorno i due finiscono a letto. Sarebbe un incontro fortuito come tanti se, qualche giorno dopo, Chloe non gli telefonasse da un ospedale psichiatrico dopo aver tentato il suicidio. Da quel momento, un filo sottile e invisibile cuce un legame profondo tra i due, tanto che sarà proprio Mark ad attendere Chloe all’uscita dall’ospedale. Tuttavia, la sofferenza dei protagonisti è solo il riflesso di un malessere capillare, diffuso lungo i gangli delle rispettive famiglie, le cui storie prendono forma grazie alle problematiche esistenziali di cui sono portatrici. Nel tentativo di emanciparsi dal passato, la coppia cercherà di trovare un equilibrio con una convivenza a Brooklyn, ma il cammino di redenzione a volte devia verso altri percorsi.

A Chloe, per le ragioni sbagliate (Marsilio, 2013) di Claudia Durastanti, è un libro sulla gestione del dolore, sui tormenti che accompagnano ogni tipo di riabilitazione intesa come riscatto. Sullo sfondo della narrazione si scagliano i frammenti di un sogno americano infranto che, più in generale, rispecchia la fragilità di un diktat incentrato sull’apparire.

Gli adolescenti si riconosceranno nelle ferite di questi giovani coetanei, animati dal desiderio di una guarigione auspicabile e allo stesso tempo temuta perché tappa di passaggio verso la “normalità”. Da qui un atteggiamento di ambivalenza affettiva verso il mondo circostante che caratterizza quasi tutti i protagonisti del libro.

E la relazione tra i due ricorda la passionalità dei primi amori, quando il desiderio di scoprirsi adulti e indipendenti si infuoca davanti al bisogno viscerale che si ha dell’altro. In questo libro quindi, ci sono tutti gli elementi atti a intercettare l’immaginario dei giovani lettori, grazie a una storia che in tutte le sue declinazioni acquista valenza universale.

Claudia Durastanti è nata a Brooklyn, cresciuta in Italia, ora vive a Londra ed è un’autrice che scrive bene, la sua prosa è scorrevole e ricca di aggettivi ricercati. Eppure, la possibilità di cospargere il testo di tracce migranti si esaurisce nell’evocazione di uno stile nordamericano degli anni Novanta che importiamo in Italia con il ritardo che ci caratterizza.

Nel romanzo si ripropone uno stile postmoderno ormai stanco, ancora una volta in attesa di essere rinvigorito. Gli ambienti psichiatrici, le saghe familiari e le storie ai margini si prestano a essere raccontati da un filtro intellettualistico che agisce sul linguaggio quotidiano. E a Claudia Durastanti riesce bene, nonostante lei stessa sembri essere consapevole dei limiti quando dichiara su Rolling Stone che «c’è un numero limitato di argomenti su cui posso intervenire» e tuttavia «mi rendo conto che non è una questione di soggetto quanto di profondità. Scrivendo di famiglie, si può toccare una materia nerissima e farlo sempre con parole nuove».

Purtroppo però si tratta di un’estetica usurata da continui rimaneggiamenti che, restituita senza prospettiva storica, rischia di diventare uno dei tanti bagliori del meccanismo commerciale che si impadronisce della violenza di una frattura per trasformarla in un collante, come la maglia dei Nirvana indossata dalla modella in copertina, in vendita da H&M a 9,99€.

(Claudia Durastanti, A Chloe, per le ragioni sbagliate, Marsilio, 2013, pp. 320, euro 18)

 

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