“Mio salmone domestico” di Emmanuela Carbé

di / 26 novembre 2013

Il primo approccio a Mio salmone domestico di Emmanuela Carbé (Laterza, 2013) lascia un po’ sconcertati, quasi infastiditi: cos’è questa lingua così antiestetica, sconclusionata e spesso addirittura sgrammaticata? Perché l’autrice non usa gli articoli e si esprime quasi come un bambino? Eppure basta proseguire un poco nella lettura per rendersi conto che Emmanuela Carbé non avrebbe potuto scriverlo meglio, perché solo con questo stile espressionistico si può rendere fedelmente quella confusione e quello smarrimento che si prova nel momento in cui si arriva alla conclusione del cammino prestabilito che caratterizza gli anni fino alla laurea.

Perché dopo questo percorso definito, almeno nelle sue linee più generali, occorre uscire allo scoperto, entrare nel mondo, esporsi alle difficoltà senza che nessuno più ti sappia dire come muoverti e cosa fare. Allora forse conviene chiudere il mondo fuori, sia fisicamente, rimanendo dentro una palla di vetro come fa il pesce rosso delle tavole che chiudono il volume, sia mentalmente, osservando quel che succede in modo passivo come invece preferisce l’anonima protagonista accompagnata dal suo salmone domestico.

Il racconto si svolge quindi in un mondo fatto di sagome di carta inventate dal salmone, a rappresentare pezzi di vita ricostruiti piuttosto che realmente vissuti, in compagnia di amici che sono significativamente indicati con un nome che ne descrive soltanto la specie. E la protagonista osserva quel che accade in un continuo dialogo con il suo alter ego, quel salmone domestico, Crodo, piombato improvvisamente nella sua vita e che incarna forse il suo lato più cinico e spietato, ma che alla fine è anche il suo lato più fragile.

In fondo si tratta di un diario. La protagonista utilizza il suo salmone domestico per raccontare quel che le succede, è la metafora di se stessa, come ammette a metà racconto: è Crodo che va dallo psicanalista, che si laurea, che crea le sagome e che ha una tormentata storia d’amore con una medusa. Tutto questo però viene descritto da un punto di vista unico e particolare, che all’apparenza dà l’impressione di non aver capito nulla di ciò che accade, che si sta guardando solo alla superficie senza cogliere il vero significato delle cose.

E invece sta proprio in questo la peculiarità di Mio salmone domestico, perché la protagonista capisce e vede più a fondo, ma rimane fuori, e studia, e analizza. Ha paura di vivere, si immobilizza, inganna se stessa fingendo di vivere mentre rimane ferma. Per questo le occorre il suo salmone, perché possa nuovamente ingannarsi e addossare a qualcun altro paure e smarrimento, come tutti.

(Emmanuela Carbé, Mio salmone domestico. Manuale per la costruzione del mondo, completo di tavole per esercitazioni a casa, Laterza, 2013, pp. 160, euro 12)

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