“In tempi di luce declinante” di Eugen Ruge

di / 19 dicembre 2013

In tempi di luce declinante di Eugen Ruge (Mondadori, 2013) è un romanzo che mescola insieme politica, storia, vicende personali, idee, speranze e le conseguenti illusioni.

Un romanzo che racconta la storia di Wilhelm e sua moglie Charlotte, comunisti classe 1962 che tornano dal Messico per fondare il primo partito comunista nella Germania Democratica; due persone piene di idee e di voglia di fare, che credono nella grandezza del partito per il quale vivono e lottano, e ne seguono la luce splendente.

Poi c’è Kurt, uno dei loro figli, l’unico sopravvissuto ai gulag: è tornato dalla Russia in compagnia di una moglie che non riesce ad abituarsi alla grigia e severa Germania e una suocera particolarmente affezionata alle conserve fatte in casa e alla vodka. Nonostante abbia perso un po’ le speranze dei suoi genitori, Kurt è ancora in grado di sognare e si sforza di vedere un futuro che sia perlomeno sereno.

Alexander è il più giovane: figlio di Kurt, è gravemente malato e per questo decide di lasciare tutto e intraprendere un viaggio della memoria fino al Messico, dove erano stati i suoi nonni, e di fuggire nella Germania dell’Ovest subito dopo la caduta del muro. Ad Alexander, del sogno che aveva animato le coscienze dei nonni prima e di suo padre dopo, non rimangono altro che le briciole e una luce che, appunto, è in fase di declino.

La storia inizia con il festeggiamento dei novant’anni di Wilhelm, con la famiglia riunita attorno a un patriarca forte e dalla vita emozionante, quando si apprende la notizia della caduta del muro di Berlino e del fatto che Alexander non arriverà. Da qui si dispiega un racconto in cui i toni della narrazione cambiano di continuo e il tempo si distende nel corso di tre generazioni. Padri e figli raccontano le cose dal proprio punto di vista, diverso per età e mentalità, descrivendo al contempo il viaggio ideale e reale di una famiglia medio borghese a cavallo del secolo, un secolo che vibra sotto i colpi della guerra e dei suoi inevitabili cambiamenti.

Il mondo che ne viene fuori è un mondo in cui gli ideali nascono, crescono e muoiono senza trovare un terreno in cui affondare le proprie radici, perché Alexander ha ereditato poco o niente dello spirito combattivo e rivoluzionario dei suoi nonni. Ciò che gli resta da adulto è un padre demente e una famiglia che abbandona per scappare lontano, dove spera di ritrovare quella forza di vivere che si fonda sull’amore per una causa, una mentalità che la generazione a cui appartiene Alexander non può capire: ormai, non possono far altro che guardare il muro che cade e chiedersi da che parte andare, se restare o fuggire, come se fossero queste le uniche alternative per sopravvivere.

Con uno stile fresco che cattura tutte le sensazioni dell’animo umano, Eugen Ruge ci propone una storia che diventa un’istantanea in bilico tra passato e futuro in cui tutti noi possiamo trovare, anche oggi, il nostro posto: c’è ancora chi crede nel futuro e poi c’è la maggior parte di noi, che non ci crede più o scappa come Alexander, a cercare fortuna lontano da una parete che crolla e da una decadenza che ha poco a che vedere con la malattia.

L’autore si sofferma a raccontare i dubbi e le delusioni di un’Europa in cui il sole è sorto alto e brillante, ha riscaldato l’aria e infine si è ritirato. Ciò che rimane a noi giovani è la gloria del passato e un presente che sega le gambe a qualsiasi tipo di futuro: la definizione spicciola della “luce declinante” del titolo non è che questo.

(Eugen Ruge, In tempi di luce declinante, trad. di Claudio Groff, Mondadori, pp. 346, euro 21)

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