“Schulz e i Peanuts” di David Michaelis

di / 19 febbraio 2014

Schulz e i Peanuts. La vita e l’arte  del creatore di Charlie Brown, Snoopy & Co. (Tunué, 2013)  è la biografia di Charles Monroe Schulz scritta da David Michaelis.

Il rapporto con il padre, Carl, barbiere e uomo retto, e con la madre, Dana, fredda con tutti coloro che non facevano parte del cerchio familiare, e sempre affettuosa nei suoi confronti. Il padre come modello di vita per il proprio lavoro. Come Carl, infatti, avrebbe fatto del proprio lavoro una questione di artigianato, di dedizione, di lucente routine. E la madre non è solo una figura fondamentale nella vita di Schulz, ma è protagonista della sua più grande tragedia: «Quella sera, prima di tornare ai suoi alloggi e firmare il rientro, Sparky si trovava nella camera da letto della madre. Lei era coricata di spalle rispetto a lui, con il viso rivolto al muro, rivolgendo la schiena alle finestre che davano sulla strada. Egli a un certo punto le disse che immaginava fosse giunto il momento per lui di andare. “Sì”, rispose Dena, “suppongo che dovremmo dirci addio”. E a quel punto, guardandolo, cambiò espressione meglio che poteva. “Bene”, soggiunse, “addio, Sparky. Probabilmente non ci rivedremo mai più”».

L’origine del soprannome “Sparky”, datogli dallo zio, in riferimento al ronzino nel fumetto Barney Google di Billy DeBeck, chiamato Spark Plug. Gli spostamenti dal Minnesota alla California. L’arruolamento in Kentucky. Una parentesi sul fumetto negli anni Venti e Trenta, in qualche modo l’anticamera di quello che poi sarebbero stai i Peanuts e il fatto che «i più amati erano quelli dai difetti più immediatamente riconoscibili»: da The Timid Soul di Harold Tucker Webster, con il leggendario e timidissimo Caspar Milquetoast («Dire che qualcuno era un Milquetoast era un modo per identificarlo, come dire che era uno Scrooge, o un Lothario, una Pollyanna, o un Amleto»),  a Krazy Cat di George Herriman, che narra le vicende di un topo, un gatto e un cane.

La moglie Joyce. L’essere padre. La fama contrapposta alla sua propensione alla riservatezza, fino alla malattia che alla fine del Novecento lo costrinse a disegnare l’ultima striscia.

Una commistione di ciò che è sé e ciò che è fuori da sé che si riflette, per esempio, nella dignitosa timidezza di Charlie Brown (da ricordare che anche entrambi hanno un padre barbiere), mischiata alla propria visione della morale e dell’etica dei suoi tempi (l’eccentrica Piperita Patti nei panni di donna emancipata, per citare un esempio).

Michaelis ha l’enorme pregio, in un tomo di quasi settecento pagine, di sviscerare a fondo la vita di uno degli autori post-bellici più importanti per la cultura occidentale, senza mai far venir meno uno degli aspetti fondamentali della forza e della grandezza dell’opera di Schulz: la sospensione del tempo (“beffare il tempo”, secondo l’autore), del non detto, azzardando quasi una traslazione del principio dell’iceberg hemingwayano, quei sette ottavi della parte sempre visibile e sempre sommersi dall’acqua che risplendono nelle sue strisce.

Tutto questo, e molto altro, è stata la vita qualunque di un uomo qualunque, come si definiva lo stesso fumettista americano, narrata da Michaelis con sapiente equilibrio.

Una biografia massimalista della vita e dell’opera di un autore minimalista, possibile erede della grande narrativa realista americana alla stregua di John Cheever e Richard Yates, testimone di come l’accezione concettuale del fumetto sia sempre stata fuorviante rispetto al suo reale impatto sulla cultura.

(David Michaelis, Schulz e i Peanuts. La vita e l’arte del creatore di Snoopy, Charlie Brown & Co., trad. di Marco Pellitteri, Tunué, 2013, pp. 708, euro 29)

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