“Le bugie nel carrello” di Dario Bressanini

di / 7 marzo 2014

È strano, siamo talmente immersi nel sistema del marketing, che spesso nemmeno ce ne rendiamo conto. Anzi, proprio quando cerchiamo di aggirarlo, quando pensiamo di esserne immuni, è proprio allora che cadiamo vittime, ancor più inconsapevoli, delle strategie pubblicitarie messe in atto per attirare i consumatori. Proprio di queste strategie parla Dario Bressanini nel suo Le bugie nel carrello (Chiarelettere, 2013), con cui vuole mostrare dei campioni esemplari, presi da un immaginario museo rappresentato dalle corsie del supermercato.

Pur introducendo il libro come una naturale prosecuzione del suo precedente Pane e bugie (Chiarelettere, 2010), dedicato anchesso alla disinformazione alimentare, ma più concentrato a sfatare i falsi miti sugli alimenti stessi, Le bugie nel carrello se ne discosta significativamente spostando il focus dell’attenzione dalle paure (infondate) legate all’alimentazione che cambia alle “invenzioni” pubblicitarie che convincono gli ignari destinatari di essere dei consumatori consapevoli e responsabili.

La scelta dei campioni esemplari è intelligente, perché non perde tempo a descrivere la componente emotiva dei messaggi pubblicitari e delle confezioni, di cui ormai tutti sono ormai informati, ma attacca proprio laddove i consumatori critici si sentono più sicuri: il Kamut, spacciato per grano dei faraoni ma oggi marchio depositato nel Montana; il pomodoro pachino, vanto dell’agroalimentare siciliano ma in realtà di origine israeliana; le uova da galline provenienti da allevamenti di diversa tipologia, che però non garantiscono alcuna differenza nelle componenti nutrizionali; il problema tanto dibattuto sulla “tossicità” del latte e, ultima in ordine cronologico, della moda del latte crudo alla spina. E questi non sono che alcuni esempi tratti dal libro.

La forza di Le bugie nel carrello, però, non risiede solo nella scelta dei prodotti da esaminare, ma anche, e soprattutto, nella puntuale argomentazione delle sue posizioni. Non si ferma al sentito dire e alle mezze verità interpretabili degli studi, peccato di cui troppo spesso si rendono colpevoli moltissime delle pubblicazioni di tema alimentare non solo a opera delle associazioni impegnate nel campo (e troppo spesso faziose) ma anche da parte delle testate giornalistiche più blasonate, ma con rigore scientifico presenta le sue fonti, mettendole a disposizione di tutti, dopo averne attentamente vagliato l’attendibilità.

E se proprio una critica dobbiamo farla, bisogna spostare leggermente la prospettiva da cui si guarda. Non c’è nulla da eccepire sulle tesi presentate, tutte molto convincenti anche alla luce della documentazione descritta, ciò nonostante l’autore si dimentica un elemento importante, che va al di là delle semplici “convenienze” economiche e presunte superiorità degli alimenti qui smascherati, perché tralascia completamente il fatto che ciò che spinge il consumatore a preferire alcuni prodotti non è solo la miglior qualità e la sua genuinità, ma è anche una componente più responsabile in termini di rispetto dell’ambiente e degli animali coinvolti nel processo di produzione. Una dimenticanza che certamente non è stata casuale, ma che forse in alcuni punti avrebbe dovuto essere giustificata.

(Dario Bressanini, Le bugie nel carrello. Le leggende e i trucchi del marketing sul cibo che compriamo, Chiarelettere, 2013, pp. 196, euro 12,60)

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