Adelphi, «l’editoria come genere letterario»

di / 4 giugno 2014

Riuscite a vederlo? Un regno di titoli, intero, maestoso. Un ecosistema di pagine, intenti e valori armonizzati gli uni negli altri. Non servono segnaletiche ammiccanti per sapere dove è meglio svoltare. Per scantonare il rischio di ritrovarsi al freddo. Oppure in mezzo all’ovvio. Ovunque c è da abbandonarsi. E rifocillarsi. L’ossigeno abbonda come gli autori. Fotosintesi di storie e visioni del mondo. E non occorre altro che ricalcare le impronte. Quelle dell’editore. Che stavolta si chiama Adelphi.

Più che una casa editrice, l’oggetto di questa tappa mensile è un orizzonte culturale, un universo eterogeneo e coerente, un pianeta cartesiano in cui ogni elemento annusa il sentore dell’altro. I cinquantadue anni di Adelphi racchiudono molto più di se stessi.

Un’avventura nata a Milano nel giugno del 1962 da un incontro tra intelletti eccellenti: Luciano Foà (proveniente dalla galassia Einaudi), Roberto Olivetti, Giorgio Colli, Roberto Bazlen (critico letterario e consulente editoriale anche per Bompiani, Einaudi e Astrolabio) e Roberto Calasso, che ne ha assunto la guida come direttore editoriale a partire dal 1971 e attualmente come presidente. La volontà è quella di veder pubblicati i libri essenziali, quelli davvero importanti. «Libri unici», che sviluppino «l’educazione all’attenzione», mutuando un’espressione di Georges Simenon.

Scegliere la compagnia di testi “affratellati” dal loro spessore, dalla capacità di tracciare un perimetro solido e prezioso attorno a cui arricchirsi e riconoscersi. Volumi irripetibili, «Scritti da chi, per una ragione o per l’altra, aveva attraversato un’esperienza unica, che si era depositata in un libro».

Il nome greco individuato (che significa “fratelli”) indica proprio questa comunione di scopi. Questa convergenza sinfonica verso «un genere letterario Adelphi» che contempli poesia e narrativa, critica e saggistica. Opere sodali, come chi le ha vagliate e poi annoverate in un catalogo difficilmente paragonabile agli altri, che recluta firme e volti come quelli di Georg Büchner (con cui Adelphi esordisce nel ’63), Konrad Lorenz, Joseph Roth, Guido Morselli, René Guénon, Elias Canetti, Thomas Bernhard, Bruce Chatwin, Simone Weil, Oliver Sacks, Sándor Márai, Goffredo Parise, Stefan Zweig. Solo per acciuffarne alcuni. Tessere di un mosaico nobile e composito, innervato spesso di mitteleuropa, che restituiscono al lettore un microclima di ricercatezza esclusiva, di purezza contenutistica e stilistica.

E le copertine raccontano. La mancanza di un grafico, da sempre. L’adozione di una griglia elementare, quella gabbia raffinata debitrice a Aubrey Beardsley e alle sue illustrazioni. La scelta di un’a/essenza per arredare i propri spazi. Con un minimalismo a volte criticato. Senza nessun riferimento alla biografia degli scrittori o alla trama in oggetto. Perché il lettore diventi la sua bussola. Perché di quel bosco non c’è niente da temere. Ci sono lune nuove da inseguire in ogni anfratto.

Come quella del pittogramma eletto come logo. Che significa morte e rinascita, apocalissi e palingenesi.

Il miracolo della parola, che azzera mille architetture e poi le lascia rifiorire.


E in questo vivaio di stimoli e proposte, dove niente si perde e tutto si ripubblica, segnaliamo le collane di maggior interesse:

Classici, inaugurata nel 1963 con le Opere di Georg Büchner

Saggi, in due serie, la prima fondata nel 1964 con La vita contro la morte di Norman O. Brown e chiusa nel 1989dopo 43 titoli, e la seconda nata nel 1990 con Elogio della luce di Giovanni Macchia e ancora esistente.

Biblioteca Adelphi, sorta nel 1965 con l’uscita di L’altra parte di Alfred Kubin. Ha superato i 600 titoli nel 2013, con una media di un titolo al mese.

Il ramo d’oro, del 1971 con più di 50 titoli all’attivo.

Piccola biblioteca Adelphi, che debuttò nel 1973 con Il pellegrinaggio d’Oriente di Herman Hesse e che continua a contare circa 15 titoli l’anno.

gli Adelphi, collana economica fondata nel 1989.

La Nave Argo, collana di pregio con libri rilegati e custoditi in cofanetto.

– Biblioteca minima

Fabula, affacciatasinel 1985 con L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera.


Cosa può esserci di più intellettualmente arduo che scandagliare un catalogo del genere con la pretesa di estrarne un pugno soltanto, escludendo quindi il resto? Il nostro è solo un gioco, senza un filo di arroganza, col piacere di far affiorare qualche titolo per noi più luminoso.

– Diario perpetuo, di Tommaso Landolfi. Ventaglio di ricordi, brandelli di luce e di malinconia. Raccolta di elzeviri apparsi sul Corriere della sera che ancora sanno irretire di follia e d’inquieta purezza.

– Dissipatio H.G., di Guido Morselli. Uno degli autori più straordinari e misconosciuti del Novecento nel suo efferato, lancinante capolavoro. In cui si dissolve il genere umano e un suicida è l’unico superstite.

– Follia, di Patrick McGrath. Estasi e condanna della passione letale. Di un amore clinico e senza ritorno.

– Il vagabondo delle stelle, di Jack London. La costrizione come valico di libertà estrema. Un detenuto, il suo dolore e lo slancio sciamanico di aggirare anche le sbarre.

– Miracolo a colazione, di Elizabeth Bishop. Poetessa magnetica. Orfana di affetti e paesi, madre di un’esistenza raminga e appartata, autrice di versi spogli e illuminati. Immensità schiusa da una finestra.

– La dea bianca, di Robert Graves. La straziante bellezza del mito, l’eco d’in-canto dove abita un tempo divino, senza giorni e senza notti.


Ma il gioco non si arresta. Aspetta solo che qualcuno rilanci verso un “libro-fratello”.

  • condividi:

Comments

News

effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

Archivio