“Le Week-End” di Roger Michell

di / 6 giugno 2014

I Borrows sono una coppia di insegnanti in procinto di andare in pensione. Sposati oramai da trent’anni, decidono di tornare a Parigi, città che avevano visitato in luna di miele. Partendo da un’idea quasi banale (la coppia che risveglia l’antica e sopita passione nella città più romantica d’Europa), il film si dipana realizzando un affresco assai più realistico del matrimonio di lungo corso e dell’ingresso nella terza età. Nick e Meg Borrows sono tutt’altro che due sereni sessantenni pronti a vivere l’invecchiamento con pacifica rassegnazione, e il film non aspira a mostrarci immagini edulcorate della vecchiaia come l’età nella quale si raggiunge magicamente un’inspiegabile “pace interiore”. I conflitti e le contraddizioni non svaniscono con il passare degli anni, semmai si acerbano, suggeriscono lo sceneggiatore Hanif Kureishi e il regista Roger Michell, presentandoci un ritratto di vita coniugale crudo e sfaccettato. Fin dalle prime scene la coppia di protagonisti litiga, si stuzzica, istiga le reciproche idiosincrasie, riapre vecchie ferite mai completamente rimarginate.

Piuttosto che l’ennesima commedia buonista e melensa, Le Week-End si configura dunque su un confronto serrato, i cui dialoghi a tratti sfiorano la spietatezza dei film dell’ultimo Polanski (Carnage, Venere in pelliccia). Meg in particolare pone un riluttante e passivo Nick di fronte a un impietoso esame di coscienza: i fallimenti di una vita, di un uomo che per sua stessa ammissione all’università era considerato dalle mille possibilità e dai mille talenti, vengono rinfacciati uno a uno dalla donna.

Nell’arco del film il personaggio di Nick riflette sulla sua giovinezza di sessantottino che credeva di poter cambiare il mondo. Perché ha fallito? Perché non ha mai concluso un romanzo in tutta la sua vita? Perché non ha portato avanti i suoi ideali rivoluzionari? Perché «non hai avuto le palle», gli rinfaccia con brutale schiettezza la moglie. In tale confronto all’apparenza crudele, vi è però un elemento salvifico che manca ai recenti film di Polanski. Le critiche feroci di Meg nei confronti del marito, mostrano il rifiuto dell’ipocrisia e del compromesso, una tenace negazione di quel lasciarsi vivere di molte coppie di lungo corso che semplicemente glissano di fronte alle reciproche mancanze.

Grazie allo sguardo impietoso di Meg, Nick è costretto ad ammettere i propri errori e meschinità per poter intraprendere un difficile percorso di ricostruzione. Inoltre, il film ci mostra come invecchiando i desideri e le aspirazioni non svaniscono, sbiadiscono soltanto, vengono come offuscati dietro a una patina di disillusioni: i sogni rimangono, dunque, dentro a un corpo che li avvolge di grasso e dolori reumatici, e sta a noi trovare la forza di risvegliarli. Il film è sorretto dalla preziosa sceneggiatura di Kureishi, che in un recente saggio scriveva: «L’immaginazione non è soltanto uno strumento artistico. Non possiamo delegare le congetture agli artisti. O meglio: che ci piaccia o no, siamo tutti condannati a essere artisti. Siamo i creatori e gli artisti delle nostre vite, del futuro e del passato (…). Siamo artisti nel modo in cui vediamo, interpretiamo, e costruiamo il mondo. Alla fine, là fuori non c’è nulla tranne che quello che noi ne facciamo. E se ne facciamo qualcosa di più o qualcosa di meno, è un interrogativo quotidiano su una semplice questione: come vogliamo vivere e chi vogliamo essere». In tal senso, Kureishi utilizza il viaggio a Parigi per mostrarci un crollo esistenziale e affettivo, che risulta però un utile rituale purificatorio per una difficoltosa quanto indispensabile rinascita.

Il passato è passato, e i rimpianti per i propri errori sono un elemento inevitabile e quasi “fisiologico” dell’invecchiamento, oltre a ciò, il tempo scorre inesorabile, ma colta con uno sguardo rinnovato, la vita è capace di offrirci nuove e inusitate risorse. Così la danza della coppia nell’ultima scena non è un semplice escamotage per uscire dall’empasse di un finale altrimenti malinconico, ma un inno alla forza creativa di un uomo e una donna che affrontano le proprie piccolezze, i difetti e le inconciliabilità, ma che oltre a ciò, o forse anche grazie a tale impietosa analisi della propria vita, ritrovano una giovinezza interiore che è la fiamma che serve per continuare a vivere, e ad amare.

(Le Week-End, di Roger Michell, 2013, commedia, 93’)

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