“Rompicapo a New York” di Cédric Klapisch

di / 9 giugno 2014

Dopo L’appartamento spagnolo e Bambole russe, torna la coppia formata da Cédric Klapisch alla regia e Romain Durais come protagonista in Rompicapo a New York, terzo episodio della trilogia esistenziale dell’ormai quarantenne Xavier.

La vita come opera d’arte o, piuttosto, l’arte come imitazione della vita. Xavier Russeau, già in Erasmus a Barcellona come improbabile studente di economia, poi sceneggiatore televisivo in trasferta in Russia, è finito a New York per stare vicino ai suoi due figli dopo che la moglie si è trasferita negli Stati Uniti con un nuovo, e ricco, amore. A New York, però, c’è anche Isabelle, l’amica lesbica a cui ha donato il seme per avere un figlio con la compagna cino-americana, e una moglie, anche lei cinese, necessaria per ottenere la cittadinanza in poco tempo. E nella confusione si aggiunge Martine, fidanzata dei vent’anni diventata amica, che per lavoro vola Oltreoceano. Dal sogno di gloria letteraria d’infanzia, Xavier è riuscito a tirare fuori una modesta carriera di scrittore di successo. Tutto quello che gli succede a New York diventa ottimo materiale per un nuovo lavoro.

È parlando via internet con il suo editore a Parigi che Xavier racconta le sue avventure newyorkesi diventate un autentico rompicapo (cinese, come vorrebbe il titolo originale, inutilmente trasformato). Il dubbio che solleva il paziente mentore è se la ricerca della felicità a ogni costo non possa essere un limite per il processo creativo. Il dramma è ciò di cui si alimenta l’artista, che ispira le opere maggiori. Per Rompicapo a New York le complicazioni possono anche essere il motore dell’ispirazione, ma la serenità è lo scopo ultimo cui deve tendere l’uomo ancor più che l’artista.

Se non fosse per la particolarità della condizione lavorativa di Xavier si potrebbe confondere il film di Klapisch con un (ennesimo) ritratto generazionale di quarantenni incerti sul loro divenire, sospesi tra il sogno di prolungare la giovinezza e la chiamata in causa della responsabilità dell’età. Xavier non rappresenta una generazione, è un esponente singolo di un disagio, di un modo in cui la vita si può complicare (cosa di cui si lamenta spesso) e di come un percorso complicato possa diventare normalità. Cerca conforto in dialoghi immaginari con Schopenhauer e Hegel, tenta di resistere alla confortante vocazione del passato fine a se stesso alla ricerca della scintilla. Il precedente evidente per Klapisch, che scrive anche, come sempre, è il personaggio Antoine Doinel, alter ego filmico di François Truffaut incarnato da Jean-Pierre Léaud, e in particolare la descrizione di un amore in crisi come momento di partenza, non di conclusione, come già era stato in Aria di famiglia.

L’evoluzione dei personaggi di Klapisch e delle loro vicende sentimentali e della crescita, fisica e mentale che attraversano in tre film ricorda il lavoro di Richard Linklater arrivato con Before Midnight a vent’anni di narrazione. Come Linklater intende raccontare la storia di una coppia attraverso gli anni, così Klapisch segue il suo protagonista senza pretendere di raccontare più di ciò che mostra.

Xavier Russeau si muove questa volta a New York, rispondendo a una vocazione cosmopolita che serve ad annullare ogni pretesa generazionale, a isolare il personaggio in contesti estranei facendo risaltare l’individualità della vicenda raccontata. È chiaro che nell’elemento della crisi, nell’incertezza del sentimento e nel prevalere della vocazione di padre si possano vedere storie comuni a molti, ma l’intento prevalente appare essere quello di raccontare, non di rappresentare, per il puro gusto della rappresentazione. È l’insistenza sul mestiere di scrittore a sottolineare la prevalenza della narrazione.

Se L’appartamento spagnolo poteva giustamente essere letto come manifesto della generazione Erasmus e simbolo di un Europa unita, ben oltre la dimensione politica ed economica per ancorarsi al piano puramente interpersonale, Rompicapo a New York non vuole proporre paragoni culturali tra Francia, Stati Uniti e Cina. Senza manifesti, è il ritratto garbato e leggero, intelligente e senza pretese della normale e complicata vita di un uomo arrivato a quarant’anni.

(Rompicapo a New York, di Cédric Klapisch, 2013, commedia, 118’)

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