“La buca” di Daniele Ciprì

di / 27 settembre 2014

Continua la carriera solista di Daniele Ciprì dopo il divorzio dal sodale storico Franco Maresco. A due anni di distanza da È stato il figlio, premiato a Venezia per la fotografia (Premio Osella per il miglior contributo tecnico), Ciprì torna con un nuovo carico di grottesco con La buca.

Armando è uscito dal carcere dopo ventisette anni di detenzione per un reato che non ha mai commesso (rapina a mano armata e omicidio). La madre, malata di alzheimer, non lo riconosce e non vuole riprenderlo in casa, la sorella e la sua famiglia non lo vogliono, lo additano come assassino e gli chiedono comprensione. Non gli resta niente per far ripartire la nuova vita se non un vecchio cappotto della madre e un cane sporco che ha iniziato a seguirlo da fuori il carcere. Sarà proprio il cane, chiamato Internazionale, a fargli incontrare Oscar, un avvocato truffatore perennemente alla ricerca di un rimborso da pretendere, di un risarcimento da reclamare. Oscar accusa il cane di averlo morso e intima ad Armando di coprire le spese mediche. Conosce la sua storia, si interessa alla sua innocenza e lo convince a riaprire il caso per ottenere un conguaglio dallo stato che possa fare ammenda per l’ingiusta detenzione. Chiaramente, Oscar è mosso da interesse personale, intravede una fetta per sé, vede Armando come un mezzo per un nuova truffa, non come la vittima di un’ingiustizia. Con la mediazione di Carmen, barista che un tempo aveva amato Oscar, i due vanno alla ricerca di indizi passati per provare l’innocenza negata.

Cambiano l’impostazione, il contesto, il tipo di sguardo. Cambia il linguaggio, ma solo in parte. Con La buca Daniele Ciprì continua a raccontare una suprema virtù italiana e le sue sfumature lungo l’orizzonte della legalità: l’arte di arrangiarsi. La famiglia di È stato il figlio faceva del cavarsela uno stile di vita, del saper cogliere dalle disgrazie il barlume di una possibilità una soluzione. L’Oscar interpretato da Sergio Castellitto in La buca ne è stretto parente, anzi, ne è l’evoluzione. Non è più uno stile di vita, l’arte di arrangiarsi, è diventata un mestiere, l’unico possibile. Oscar si aggira alla ricerca di un inghippo, distribuisce false invalidità, progetta una mega causa contro l’amministrazione comunale per la buca enorme di fronte al suo portone. Ogni cosa può portare a pretendere un risarcimento.

A differenza di È stato il figlio, ora a Ciprì non interessa descrivere un possibile reale. Non c’è più il collegamento diretto con un luogo e un tempo come era la periferia palermitana degli anni Settanta. Oscar, Armando, Carmen e Internazionale si muovono in un non luogo privo di connotati specifici che riferiscano un Nord o un Sud, senza accenti evidenti, senza elementi che indichino un’epoca (niente cellulari, nessuna moda apparente nel vestire, c’è addirittura un negozio di bottoni). È come se a Ciprì non interessi limitare a una specifica condizione la sua vicenda quanto piuttosto renderla il più possibile universale.

C’è l’Italia, in quello che racconta, è evidente. C’è un’umanità miserevole oltreché misera nello stesso Oscar e nella famiglia di Armando, pronta a riaccoglierlo nel momento in cui si prefigura il denaro, c’è la tendenza alla truffa, alla ricerca di una soluzione al di fuori della legalità. E poi c’è tutto lo stile grottesco di Ciprì, che qui si spinge ancora oltre rispetto all’opera prima (solista) e carica i personaggi, le situazioni, il contorno. La sua narrazione è farsesca, caricaturale, gonfia, sempre a rischio eccesso. E non ce la fa, a evitarlo, l’eccesso. Perché La buca esagera nei suoi meccanismi comici, si appesantisce di momenti macchiettistici che funzionano all’inizio e poi ridondano (il messicano imbecille, la corte persa appresso al pallone, il finto cieco), che si saturano costantemente, così come l’Oscar di Castellitto, tenuto sempre sopra le righe, chiamato ad esagerare in tic e smorfie, mentre Papaleo confeziona un Armando di incrollabile e dimesso ottimismo. Sarebbe bastato, probabilmente, una maggior misura, un equilibrio più volto alla commedia che al comico, per evitare eccessi.

Ciprì sta definendo ancora il suo stile, dopo la separazione da Maresco. C’è meno assurdo, rispetto al cinema – e alla televisione – che facevano insieme, una forma nuova di cinismo, un nuovo modo di essere grottesco. Rispetto a È stato il figlio sembra aver confuso la direzione da voler tenere. Ci sono troppe mani sulla sceneggiatura (oltre a Ciprì e Masismo Gaudioso, che già collaborava, anche la produttrice Alessandra Acciai e Miriam Rizzo) e qualcosa si perde nel mezzo.

È un anno intenso, quello di Daniele Ciprì al cinema: oltre a La buca tornerà in sala come direttore della fotografia con La trattativa di Sabina Guzzanti, La vita oscena di Renato De Maria, L’attesa di Piero Messina, I calcianti di Stefano Lorenzi e L’ultimo vampiro di Marco Bellocchio.

(La buca, di Daniele Ciprì, 2014, commedia, 90’)

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