“La voce dei libri”
a cura di Matteo Eremo

di / 24 ottobre 2014

Ci entrano in molti. È vero, una fetta resiste, totalmente impermeabile all’istinto. Increspa la fronte, arriccia quasi tutta la faccia e poi sceglie altro, forse temendo il contagio. Ma oltre a loro, che in Italia restano troppi, un discreto plotone di passi buca la soglia, sospinto dai motivi più cangianti. C’è chi lo fa per atteggiarsi, perché sembrare pensieroso e distante con gli occhi risucchiati ribattezza in due minuti un intero pomeriggio immolato a contare sportelli da Ikea; c’è chi si crede un esperto e annusando sorgenti come un rabdomante, per irradiare consigli alla sua cricca di seguaci. C’è poi chi lo fa perché banalmente non può rinunciarci. Perché altrimenti il fiato si accorcia, il sangue recalcitra. E allora si va, aspettando l’incontro. Questo libro parla di tutti loro, li ritrae mentre pascolano tra gli scaffali, mimetizzati tra un bestseller e un pallido esemplare a rischio estinzione. E soprattutto, parla dei suoi simili. Di titoli, volumi e del loro habitat.

Matteo Eremo è partito, in cerca di luoghi. Un po’ colti, un po’ di culto. E nel suo peregrinare tra spicchi di carta, ha scelto undici avam-posti sparsi per l’Italia, undici baluardi pronti a difendere La voce dei libri (Marcos y Marcos, 2014). «Undici strade per fare libreria oggi», come palesa il sottotitolo.

Librerie che resistono, ai ruggiti dei Megastore, agli assedi del mercato on line, alle feudali ordinanze della crisi e di chi ne abusa per gambizzare sogni. Dalla Svizzera a Palermo, da Torino a Messina, piovono le storie di luoghi e di chi li ha creati. Librai per dinastia, come nel caso di Galla a Vicenza o di Casagrande a Bellinzona, che hanno navigato gli anni senza piegarsi, cambiando sede ma non passione; oppure librai per vocazione, come Andrea Geloni, trasformista dei mestieri che dopo studi giuris-prudenti, ha capito che la strada da inforcare era compresa tra due pagine. Affascinante catalogo dei tipi bibliofili.

Dal libraio decano al maratoneta, dal fotografo che arreda i muri con le sue immagini alle affabulatrici che ipnotizzano i clienti. E poi c’è da spulciare tra gli aneddoti, perché ogni vetrina contiene più di ciò che mostra. Un caso su tutti è quello della libreria Fogola, spuntata nel petto medioevale della Lunigiana, nipote della favola dei librai ambulanti. Una ciurma di mercanti arrampicati su un dorso di montagna per vendere almanacchi, lunari, immagini sacre e poi spalmati in pianura e sempre più lontano, fino a fondare case editrici in Spagna e in Argentina, come i Maucci, o librerie disseminate in tutta Italia, proprio come i Fogola.

Librai erranti di cui si capta ancora l’eco, che impastano d’incanto un angolo minuscolo di quaranta metri quadri, dove la gente si accalca e si trattiene per sentirsi dire di quale titolo ha bisogno. Molto più di quanto accada con un medico di famiglia. Perché, a quanto pare, è ancora questo a fare differenza. A tracciare il displuvio, tra un magazzino di pagine all’ingrosso e una libreria. Non solo sconti e locandine ammiccanti, obelischi di strenne e soliti autori, ma professionisti, uomini e donne innamorati dell’avventura di leggere e di restituire il viaggio. Custodi di scorci, pastori di storie.

Librai, non commessi. Esperti di valori, non sudditi d’incassi. Ognuno con la sua ricetta, con l’indomita spinta ad ascoltare La voce dei libri e a farsi interprete per gli altri. L’elemento di spicco di questo album non è di certo il suo linguaggio: a tratti basicamente giornalistico e più spesso sentimentale, dolciastro, ingenuamente retorico. Il suo punto di forza dimora in ciascuno dei mondi che descrive. Nelle parole dirette di chi sopravvive di libri e di chi con i libri prova a espandersi. Sorridendo, lavorando, crescendo nonostante.

Attualmente anche la scena editoriale sembra essersi accorta del potenziale ammaliante delle tane di autori, proponendo scie di titoli ciclostilati tra cui Lo strano caso dell’apprendista libraia di Deborah Meyler, La libreria degli amori inattesi di Lucy Dillon, La libreria dei nuovi inizi di Anjali Banerjee o ancora La libreria del buon romanzo di Laurence Cossé, fiutando il successo e disossandolo di nuove uscite.

Ma al di là di una quinta ideale per un romanzo rosa, ogni libreria (soprattutto se indipendente) è una storia di coraggio, di ribellione cosciente al silenzio meccanico di un braccio che tratta i libri come sugo precotto. È in questo che riesce La voce dei libri. Nella speranza profusa che l’amore trinitario tra libraio, libro e lettore non si appanni sulla cassa di un supermercato assieme a due ciuffi di macinato. Perché nessun vero racconto ha la data di scadenza. Scritto da chi, quando si aggira tra le ceste di novità, cerca di non essere solo un’addetta alla vendita.

(La voce dei libri. Undici strade per fare libreria oggi, a cura di Matteo Eremo, Marcos y Marcos, 2014, pp. 288, euro 12)

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