“Terre rare”
di Sandro Veronesi

di / 12 dicembre 2014

Con Terre rare (Bompiani, 2014), Sandro Veronesi torna in libreria dopo tre anni dalla raccolta di racconti Baci scagliati altrove, a quattro dall’ultimo romanzo XY, ma soprattutto a nove da Caos calmo, con cui ha vinto il Premio Strega nel 2006.

Sono passati nove anni anche nell’universo di Pietro Paladini. Sono passati nove anni dalle interminabili attese seduto su una panchina, dagli elenchi, dai personaggi che gli scorrono davanti, quasi fossero tanti pezzi di sé in una ricerca quasi pirandelliana di un luogo dove stare. Nove anni  per fuggire da rimorsi e sensi di colpa, per fuggire da un io troppo misero e con troppi sospesi.

Caos calmo e Terre rare sono due storie della stessa grande storia in cui è lampante un primo elemento: se Caos calmo è, paradossalmente, una narrazione extradiegetica, in quanto Paladini sembra raccontare qualcosa da fuori, una storia che a un certo punto è quasi chiaro che non gli appartiene (con il pianto disperato in macchina a sancire la presa di coscienza dell’Assurdo della vita), come se non fosse realmente lui il punto attorno a cui ruota l’intero universo – e in questa forma di rappresentazione dell’alienazione dal mondo Veronesi è stato ineccepibile –, in Terre rare ci troviamo invece in una rappresentazione marcatamente intradiegetica. Paladini, infatti, è quello che gli accade intorno, reagisce agli impulsi dell’esterno, e interagisce, prova a plasmarli, a farli diventare, nei limiti ovviamente delle capacità di un essere umano, ciò di cui ha bisogno. In Caos calmo c’è una tendenza alla rimozione, solo la cognata – che Paladini fa passare un po’ per una fuori di testa –, cerca di fargli capire, di scuoterlo. Qui, invece lotta. Lotta anche quando sta per svenire. Si rende conto di ciò che gli accade intorno. Se per il protagonista di Caos calmo, parafrasando Dylan Thomas, «La palla che lanciammo giocando nel parco è tornata giù da un pezzo. Dobbiamo smettere di aspettarla», negando l’esistenza stessa della palla stessa, qui la palla esiste ed è ancora in aria.

In Terre rare, Paladini ha cambiato città – non più Milano, ma Roma –, ha una nuova compagna, un nuovo lavoro. Lavora, infatti, in un concessionario e la vita sembra poter scorrere al meglio, ma in brevissimo tempo commette un grave errore a lavoro, si ritrova senza patente, senza cellulare e senza la possibilità di accedere a internet (in questo passaggio di denota l’aspetto uomo iper moderno di Veronesi: cosa può fare un individuo, oggi, di ceto medio-alto, senza internet? Cosa fa per sopravvivere? Come può sopravvivere? Costringendolo a fare qualcosa che, oggi, sembra appartenere a un’altra epoca: andare in un internet point. Cosa può fare, a questo punto, Veronesi senza tutto questo?), una figlia scappata di casa, la Guardia di Finanza che ha sigillato l’ufficio e sequestrato i computer, il collega, Lello, che non si sa che fine abbia fatto. Da qui  inizia la discesa verso l’inferno personale del protagonista. Tutto parte dalle scelte di Lello, dai suoi rapporti oscuri.  Anche qui, l’input che da via a tutto può essere catalogato nella dicotomia esterno/interno. Se in Caos calmo il motivo che fa scaturire il dramma proviene dall’interno, la morte della moglie, in una situazione dettata dal caos, in Terre rarel’avvenimento dipende dalla volontà del suo collega, da qualcosa che è completamente al di fuori di sé, da scelte esterne che sono altro da sé.

Da questo momento, Paladini si troverà ad avere a che fare con la comunicazione stile Al Qaeda – un account unico con cui interagire lasciando i messaggi nelle Bozze delle e-mail senza inviarli, per evitare di essere tracciati –, denaro falso, una banda di malavitosi rumeni, altri personaggi ambigui che vivono tra la legalità e l’illegalità, una fuga in Svizzera, un fratello rifugiato in Uruguay e la continua sensazione di avere la possibilità di mollare tutto e scappare.

Contemporaneamente, gli strascichi della morte della moglie che si manifestano prepotentemente nel rapporto con la figlia, che si fa depositaria della memoria e del passato di Paladini. E il caos calmo che continua a vibrare dentro di lei.

Per quanto Veronesi possa essere definito un bestellerista, dove l’italianizzazione di un termine inglese come bestseller ne definisce un’accezione negativa – la mente porta a esempi meno nobili dell’ultima produzione di massa italiana –, la capacità di riuscire a vendere non è ontologicamente un male, anzi: abbiamo di fronte un altro romanzo in cui sviluppo e ritmo narrativo sono soppesati con il contagocce; in cui, a sorreggere e a dare linfa al tempo e dramma interiore di un uomo si sviluppa una trama che ha le caratteristiche vorticose velatamente ammanitiane.

E in cui la capacità di essere trasversale, e di trovare un punto di incontro tra l’autorialità e la distribuzione massiccia, sono un enorme punto a favore.

(Sandro Veronesi, Terre rare, Bompiani, 2014, pp. 407, euro 19)

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