“Tra un atto e l’altro”
di Virginia Woolf

Torna il romanzo che Virginia Woolf ha lasciato incompiuto prima di suicidarsi

di / 13 gennaio 2015

1941. Una mattina Virginia Woolf esce di casa, e come per una passeggiata si dirige verso il fiume Ouse, che diventerà il teatro del suo silenzioso suicidio. Sulla sua scrivania restano alcune lettere e un manoscritto, lo struggente romanzo postumo Tra un atto e l’altro, di recente ripubblicato da Guanda.

Riassumere la trama di questo romanzo mi dà quasi l’impressione di privarlo di qualcosa. In breve possiamo dire che la seconda guerra mondiale è alle porte, e in un paesino perso fra le campagne inglesi viene allestita, per passare il tempo, una rappresentazione teatrale sulla storia dell’Inghilterra alla quale prende parte l’intera comunità. L’azione si svolge nell’arco di 24 ore e la scenografia, i costumi e i dialoghi sono improvvisati ma, in fondo, sono anche poco importanti, e ciò che conta in queste pagine è quello che c’è dall’altra parte: gli spettatori, la “realtà”. «Erano tutti catturati e ingabbiati; prigionieri, spettatori di una recita. Non accadeva nulla».

La cosa importante non è dunque la rappresentazione ma quello che c’è intorno ad essa, quello che succede fra gli spettatori, quello che accade quando il confine fra finzione e realtà diventa talmente flebile che quasi non si vede più. Difficile capire quale sia la realtà quando la si guarda attraverso degli specchi, come gli oggetti in vetro che gli attori usano per interpretare la parte dello spettacolo dedicata al presente, un presente in cui l’imminenza della guerra si respira in ogni dettaglio. Ogni cosa fa parte di un unico flusso, di cui noi siamo una parte integrante e tuttavia disorientata.

Simboli e presagi pervadono il romanzo, presagi della guerra incombente ma anche del suicidio della scrittrice («Che mi ricoprano le acque… le acque del pozzo dei desideri…»), in uno stile forte, potente e a tratti carico di inquietudine: «Là, appiattito sull’erba, acciambellato in un anello verde oliva c’era un serpente. Morto? No, soffocato, con un rospo in bocca. Il serpente era incapace d’inghiottire, il rospo era incapace di morire. Uno spasmo gli contraeva le squame; colava sangue. Era un parto alla rovescia – una mostruosa inversione. Così, alzando il piede, li schiacciò… La tela bianca delle scarpe da tennis divenne rossa di sangue e vischiosa».

In questo romanzo la tradizionale forma narrativa della Woolf si spezza, e la scrittrice decide di abbandonare in maniera radicale l’illusione avvicinandosi alla realtà, a una quotidianità concreta e prosaica, quella che ritroviamo a ogni intervallo, quando la rappresentazione finisce e siamo costretti a tornare a noi stessi, a ciò da cui ci siamo staccati per rifugiarci nella finzione scenica.

Lo spaesamento pervade il romanzo fino alla sua conclusione, fino alla notte simbolica che cala sulla scena. Tra un atto e l’altro, benché terminato prima della morte dell’autrice, resta un’opera in attesa di una revisione definitiva: è un’ultima, malinconica traccia che non si può fare a meno di leggere con una punta di rimpianto e inappagata curiosità.

 

Tra un atto e l’altro, Virginia Woolf, Guanda, 2009, traduzione di F. Wagner e F. Cordelli, pp. 210 euro 14,50

 

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