“Il testamento dei fiumi”
di Jesús Moncada
Decine di personaggi a narrare la storia di un antico paesino che cede alla modernità
di Vanessa Tenti / 13 marzo 2015
Camí de sirga, titolo originale de Il testamento dei fiumi, è un testo del 1988, tradotto e pubblicato per la prima volta in Italia nel settembre 2014 da gran vía. Insignita di vari e prestigiosi premi letterari, questa è l’opera che più ha contribuito a rendere Jesús Moncada (1941 – 2005) uno dei più apprezzati scrittori della letteratura catalana contemporanea.
E questo in effetti è un testo tanto bello quanto complesso, come le migliori storie che non possono essere semplicemente narrate o narrate con semplicità. Fin troppo facile infatti sarebbe descriverne la trama come la progressiva distruzione di un antico paesino a causa di una modernità che miete vittime in nome del progresso civile e tecnologico. Quella che il libro narra è la storia di un villaggio fluviale e dei suoi abitanti e, attraverso questa, può riecheggiare le vicende politiche e sociali spagnole ed europee e l’atmosfera che qui si percepiva tra la fine dell’Ottocento e gli ultimi decenni del Novecento. La complessità del romanzo deriva dunque in primo luogo dall’aver reso la Storia un eccezionale sfondo animato in cui precipitare le avventure della nutrita popolazione del borgo e del libro. L’indispensabile luce delle vicende storiche, silenziosa tecnica scenica più che assordante voce fuori campo, esalta il carattere di ogni singolo personaggio e ne mette a nudo le passioni segrete, i desideri più sinceri, le inquietudini celate.
Il secondo sostanziale motivo di complessità del testo è poi la sua grandiosa architettura polifonica. Come potrebbero fare i due fiumi che lo circondano spargendo residui e lasciando tracce in tutto il territorio circostante, ormai condannato a morte, il paesino sembra straripare e spargere le sue memorie nel libro. Decine di personaggi, saldamente legati gli uni agli altri seppur così diversi, mescolano ricordi del passato e avvenimenti del presente; e confondono le loro voci con i pensieri, i pettegolezzi da bar con le maldicenze dei salotti nobiliari, le confidenze da confessionale con quelle da bordello. La verità del villaggio si compone di tutti questi elementi e, per quanto il lettore possa conoscere la realtà dei fatti, non può non affrontarla come un’entità soggettiva e instabile. Padri e figli, antenati, nonni e nipoti si confrontano e dipingono contemporaneamente una storia in movimento come se dovessero ritrarre le acque di un fiume: ogni vicenda è raccontata da più voci – autoritarie o sommesse, vere o false – che come pennellate impressioniste, rivelano la verità solo ad uno sguardo globale del quadro.
Il testamento dei fiumi è un romanzo denso, ricco, impegnativo e profondo, e Moncada dirige una fragorosa cascata di ricordi come fosse un’orchestra, governando con maestria e armonizzando tra loro i tamburi delle rivendicazioni popolari, le trombe impettite dei nobili e delle istituzioni, i deboli fiati dei nostalgici e le corde tese dalle passioni di tutti i personaggi.
(Jesús Moncada, Il testamento dei fiumi, trad. di Simone Bertelegni, gran vía, 2014, pp. 317, euro 17)
LA CRITICA
Non a caso questo romanzo è stato insignito di vari e prestigiosi premi letterari. È intenso e appassionato, a tratti ironico nonostante la vena nostalgica. E l’accurata e pirotecnica struttura polifonica è ciò che rende impervia e allo stesso tempo stimolante la lettura: è un romanzo magnifico che deve alla complessità la sua forza e la sua bellezza.
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