“Academy Street”
di Mary Costello

Un delicato romanzo d’esordio

di / 7 maggio 2015

Siamo tentati spesso a credere che la finzione racchiuda l’impossibile.

Gli spasmi urticanti di lotte epocali, lo straordinario in scatola. Pensiamo che il verosimile ci riscatti dal vero, che rifonda i nostri sbadigli, che elettrizzi la barba delle nostre pantofole.

Ma più leggiamo, più dobbiamo smentirci. Sfatare l’azzardo, l’impropria pretesa di enormità. Perché la letteratura è solo un imbuto, dove a colare non sono soltanto i supereroi, i pugni fotonici o i prodigi del crimine. La bottiglia straripa di ossa comuni. E sono quelle ossa a vibrare per noi, spalmate dell’eco dei nostri scheletri. Sono loro che ci confermano al centro, quello tronfio e minuscolo degli esseri umani.

Qualcuno la chiama la “narrativa dei mediocri”, ma da Gončarov a Musil, da Svevo a Futabatei, ci vuole poco a capire che trafiggere la carne dei banali non è certo scontato.

A dimostrarcelo, se ancora ce ne fosse bisogno, c’è il romanzo d’esordio di Mary Costello.

In Academy Street (Bollati Boringhieri, 2015) non si susseguono omicidi criptati. Lì ci vive Tess, protagonista inconfutabile della sua medietà. A sette anni è già orfana, sua madre s’impolvera nel letto, sequestrata da una tosse maligna che la porta lontano. Oltre le colline, oltre il bianco del cielo macchiato. E la sua vita s’incurva. Verso il silenzio di una casa tombale, dove anche la radio è rumore proibito. Ci sono troppi fratelli e troppe poche favole per ciascuno di loro. A Tess non resta che espatriare, fuori da Easterfield, dai frassini, dal vento, da quel gomitolo d’Irlanda che non sa più accarezzarla.

A New York diventa infermiera come sua madre e s’innamora in fretta, così tanto da farsi scalfire, da lasciare scoperto un grembo indifeso. Perfetto per riempirsi di un figlio. Il padre non è niente, la sua pelle è lunga solo una notte e Tess è sola con le sue gambe ingrossate, il fiato che striscia, col destino cucito sulla sua ombra. Sola con Theo. Non è una madre eroica, non riscuote il suo pegno di gratitudine eterna. Continua ad essere grigia, marginale, ignorata, anche dall’unico frutto che ha saputo concedersi.

Il palco non fa per lei. «In tutta la vita non aveva mai mostrato nemmeno un grammo di coraggio. Si era sempre accontentata di un tacito consenso per tutte le cose che aveva fatto, come se fosse stata priva di determinazione, come se il padre, la madre o addirittura Dio in persona si fossero permanentemente installati dietro alle sue spalle per guidare i suoi pensieri e le sue azioni. E quando non otteneva l’approvazione che desiderava, o aveva la sensazione che non venisse esternata adeguatamente, si ritirava in una posizione di quieta passività. Più di tutto, il terrore le annebbiava i sensi, in una totale paralisi dell’anima». Il suo personaggio è tutto impugnato in questa manciata. Tess è una pavida fedele alle sconfitte, perché le somigliano, perché sono il cibo con cui è stata svezzata e Mary Costello intreccia abilmente elementi familiari a frange d’invenzione, per restituire il senso imperante di una continua impotenza, di una fragilità calpestata a cui nessuno chiede perdono.

Ed è questo il merito maggiore di Academy Street, tracciare un perimetro d’aria e di luce per gli sciami indistinti di creature di cera, per tutti quelli che non possono permettersi neanche il lusso del fango.

Per l’esercito molle dei non pervenuti. Per quelli che non scalciano negli abissi, che non hanno in sorte turbinose avventure di miseria o poesia. Per tutti quelli che si sbracciano nel mezzo.

Tess non è il proletario Stavro di Kyra Kyralina, o lo scrittore dilaniato dal digiuno di Fame. Tess è un soffio sull’asfalto, non meriterebbe fari puntati, nessuno si accorge di lei, la famiglia muore o la dimentica e l’unica parola più soffice sgorga dalle labbra della sua vicina di Academy Street, un’afroamericana acclive al sudore, alla fatica già scritta accanto al suo nome. Tess è una comparsa lieve, un’abitudine anonima contrappuntata dal lutto e compatibile con ogni tipo di rinuncia, soprattutto all’amore, a tutto quello che può staccarla dallo sfondo.

A farlo però ci pensa la grazia assoluta di questa scrittura: bisbigliata, discreta e puntuale.

Un occhio acuto sull’ovvietà di questa esistenza che si staglia per sterminate altre. Molti hanno comparato Academy Street a Stoner di John Williams, clamoroso caso di riscoperta editoriale e di passa parola.

Anche il suo protagonista è un perfetto mediocre, un ministro dell’insulso, uno scialbo professore meravigliosamente “antinarrativo”. Eppure, come nel caso di Mary Costello, è l’autore a tracciare il solco, a disseppellire quella bellezza muta, insospettabile. E a regalarle la ribalta. Lei, a differenza del sontuoso spessore di Williams, lo fa con un tocco obliquo, con una delicatezza che è dono e risposta solo di una certa femminilità. Non aspettatevi di cadere della sedia mentre leggete. Ma di apprezzare ogni istante in cui resterete lì.

(Mary Costello, Academy Street, trad. di Maya Guidieri Berner, Bollati Boringhieri, 2015, pp. 184, euro 16)

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LA CRITICA

Incantevole romanzo d’esordio. Mary Costello tratteggia con stile asciutto e aggraziato un personaggio intenso nella sua invincibile fragilità.

VOTO

7,5/10

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