“The Lobster” di Yorgos Lanthimos

La vita di coppia senza via di fuga. Gran premio della giuria a Cannes

di / 19 giugno 2015

In un futuro ipotetico, o in un presente alternativo, essere single è considerato illegale. La legge impone la vita di coppia: chi rimane solo viene trasformato in un animale a sua scelta attraverso una complessa operazione. David è un architetto quarantenne appena lasciato dalla moglie che si è innamorata di un altro con cui aveva maggiore affinità. Il protocollo sociale prevede che David debba soggiornare per quarantacinque giorni in un albergo fuori città progettato apposta per permettere alle persone sole di conoscersi. Scaduto il mese e mezzo, se non avrà trovato l’anima gemella, verrà trasformato nell’animale che ha scelto. David ha scelto l’aragosta. Suo fratello, anni prima, aveva scelto di essere trasformato nel cane che ora David porta sempre con sé. La direzione si riserva il diritto di valutare le nuove coppie che dovessero formarsi all’interno dell’hotel promuovendole nelle camere doppie. Gli ospiti single hanno la possibilità di prolungare la loro permanenza catturando i Solitari, uomini e donne che si sono sottratti all’obbligo sociale della vita di coppia e vivono come fuorilegge nei boschi intorno all’albergo. Dopo aver tentato di fare coppia con un’ospite dell’albergo silenziosa e spietata nella caccia, David si unisce ai Solitari e scopre che anche lì esistono delle regole, molto severe.

Per chi non lo conosce, Yorgos Lanthimos è un regista e sceneggiatore greco arrivato, con The Lobster, al suo quinto film, il primo in lingua inglese. Nel 2009 fece cadere più di una mascella tra i critici e i cinefili presentando nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes Kynodonthas (il titolo internazionale è Dogtooth e allude ai denti canini), surreale ritratto di famiglia con figli adulti mai usciti di casa e cresciuti in un mondo ridotto ai confini della villa del padre. Kynodonthas vinse nella sua categoria e venne anche candidato all’Oscar come miglior film straniero nel 2011 (vinse Susanne Bier con In un mondo migliore). Nello stesso anno, Lanthimos presentò a Venezia Alps, storia di un gruppo di più o meno attori che si propongono alle persone che hanno appena subito un lutto per interpretare lo scomparso in cambio di denaro. In pratica, fanno da sostituti per accelerare e facilitare l’elaborazione del dolore.

Questi due film, più completi e maturi dei primissimi lavori, hanno imposto Lanthimos come uno degli autori più interessanti del panorama europeo e mondiale. Con The Lobster è arrivata l’occasione definitiva di assurgere al rango di giovane maestro (è del 1973). L’ha colta in pieno, portandosi a casa il Premio della Giuria alla prima partecipazione al concorso ufficiale di Cannes.

Come è chiaro dalle trame, Lanthimos unisce una vena surreale alla costruzione di realtà parallele nella sua filmografia. Immaginando scenari distanti dal quotidiano, come la famiglia rinchiusa di Dogtooth o la vita simulata di Alps, o ancora la condanna alla coppia di The Lobster, il regista greco esaspera aspetti del mondo reale e della società contemporanea, le ossessioni ricorrenti del mondo occidentale. Il surreale si unisce con una costante vena ironica che, soprattutto in The Lobster, fa da contrappunto impossibile a quello che succede. Nell’esposizione di queste realtà improbabili e terribili prevale una freddezza espositiva che rasenta il gelo, un distacco completo tra la sostanza anche spietata del racconto e la forma imperturbata dell’espressione. Si è parlato, non a torto, di una certa vicinanza con il cinema di Michael Haneke,. Al centro ci sono sempre i sentimenti umani. Forme molto particolari di sentimenti, portati all’estremo e all’assurdo, e soprattutto il modo in cui la dimensione privata della vita umana, che sia la crescita dei figli, o il lutto, o l’amore, interagisca con la dimensione pubblica e sociale.

Nel preparare The Lobster, Lanthimos ha voluto la certezza che gli attori avessero visto almeno uno dei suoi lavori precedenti. Fino ad Alps aveva lavorato con un numero ristretto di interpreti che conosceva bene. Nel cast internazionale di The Lobster sono rimaste solo Angeliki Papoulia e Ariane Labed da Alps (Papoulia era anche in Dogtooth, ed è un po’ l’attrice feticcio). Per tutti gli altri era la prima volta, e parliamo di attori come Colin Farrell, Rachel Weisz, John C. Reilly, Ben Whishaw e Léa Seydoux. Era un po’ rischioso, perché lo stile di Lanthimos è rigoroso e molto distante dai canoni hollywoodiani, eppure c’è stata una perfetta sintonia. In particolare, Colin Farrell, ingrassato e normalizzato dagli occhiali e dalla pancia, dal taglio di capelli e dal mal di schiena, sorprende per quanto sia a suo agio lontano dai consueti ruoli di maledetto o duro.

I personaggi sono caratterizzati da cifre esteriori evidenti: David è miope, c’è l’uomo che zoppica, quello con la lisca, la donna con i biscotti al burro, la ragazza a cui sanguina il naso, quella con i bei capelli, per facilitare il processo di unione in coppia, perché basta che ci sia un’affinità evidente per poter passare nelle stanze doppie.

Nel mondo di The Lobster, del resto, non esistono le vie di mezzo. Non ci si può registrare nell’albergo come bisessuali, non si possono avere scarpe di mezza misura (David deve scegliere: o 44, o 45, niente 44 e mezzo) e, soprattutto, o si vive in coppia come pretende la società oppure si è soli, senza contatti fisici e condivisioni, come vivono i Solitari. È un mondo che annullando le sfumature vuole annullare le differenze, che pretende di costruire unioni tra esseri umani sulla base delle affinità apparenti, come un naso che sanguina, o la miopia, o che al contrario punisce con il sangue ogni tentativo di interazione. Stretti nella gabbia dei due estremi, gli uomini devono adattarsi alla finzione costante, a simulare la vita che vuole essere vista dall’esterno. La scelta non è possibile, la libertà non esiste più e l’amore, tutto sommato, non è necessario.

(The Lobster, di Yorgos Lanthimos, 2015, drammatico, 118’)

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LA CRITICA

Attraverso la costruzione di un mondo impossibile, Yorgos Lanthimos continua a osservare il mondo d’oggi al livello fondamentale dell’interazione umana. The Lobster è un’immagine gelida, amara e ironica della società contemporanea.

VOTO

9/10

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