“Terminator Genisys” di Alan Taylor

Terminator è tornato (o almeno ci ha provato)

di / 7 luglio 2015

C’era bisogno di un nuovo Terminator, a trent’anni dall’uscita del primo film della serie – capolavoro – e a ormai venticinque dal secondo capitolo – capolavoro a sua volta, seppur diverso, più pompato e spettacolare –? Devono aver pensato di sì, che basta il marchio a garantire un ritorno di pubblico e il resto, lo sforzo di essere un minimo originali anche, può passare in secondo piano. La lezione di Terminator 3: Le macchine ribelli non è bastata. Perché ci avevano già provato nel 2003 a rilanciare il marchio, e non era andata esattamente bene: buoni incassi, ma film altamente dimenticabile. Nel 2009 c’era stato un nuovo tentativo, più rivoluzionario. Con Schwarzenegger impossibilitato a indossare di nuovo gli iconici occhiali da sole e giubbotto di pelle dalla sua carriera politica, si era decisa una strada completamente nuova. Niente più viaggi nel tempo e macchine mandate a uccidere qualcuno della famiglia Connor su e giù per lo spazio tempo. Tutto, o quasi, si svolge nel futuro, nel momento della guerra contro le macchine di Skynet, John Connor ha il carisma di Christian Bale e lo scenario post-apocalittico aiuta a dare struttura e forza a tutto. Era un capitolo interessante, Terminator Salvation, che non ha avuto il seguito progettato a causa di problemi legali di diritti e fallimenti.

Per Terminator Genisys la Paramount ha deciso di partire da capo per una nuova (altamente probabile) trilogia. Chiamato Alan Taylor alla regia, che dopo l’avvio di carriera da autore con Palookaville e le regie tv di cose come I Soprano, si sta specializzando in serie action (era dietro la macchina da presa di Thor: The Dark World), si parte dal 2029, il momento decisivo della battaglia contro Skynet. John Connor e i suoi stanno scagliando l’offensiva decisiva, ma le macchine fanno partire il loro piano segreto e mandano indietro nel tempo, nel 1984, un Terminator per eliminare Sarah Connor, la madre di John, e annullare con lei la resistenza. Per fermare la macchina, il luogotenente di Connor, Kyle Reese, fa lo stesso viaggio nel tempo. Praticamente fino a qui è la stessa trama del primo Terminator. Cambia il punto di partenza, perché seguendo la traccia di Salvation viene mostrato il futuro dell’umanità in guerra contro i robot. Quello che cambia è ciò che Kyle Reese trova ad attenderlo a Chicago nel 1984. Perché Sarah Connor non è un’indifesa cameriera: è una guerriera già pronta a combattere. Qualcosa è cambiato, rispetto al passato che conosceva John Connor. Perché già nel 1973 una macchina aveva provato a eliminare Sarah e un Terminator era stato mandato indietro nel tempo (dalla resistenza? non è chiaro) per difenderla e prepararla. Reese si trova quindi in una linea temporale nuova, in cui Skynet non esiste più, ma c’è una nuova minaccia per l’umanità da temere: il sistema operativo Genisys, che entrerà in funzione nel 2019 e metterà tutti gli uomini sotto il controllo delle macchine. Il passato, il presente e il futuro sono cambiati e probabilmente tutto è collegato a quello che Reese ha visto prima di partire nel tempo, con quel Terminator che circondava John Connor e gli faceva perdere i sensi.

La cosa migliore di Terminator Genisys  è il ritorno in grande stile di Arnold Schwarzenegger. Non ci può essere Terminator senza Schwarzy (almeno, non il modello classico), e per chiarire il concetto ne appaiono anche più di uno insieme, versione contemporanea e versione giovanile digitalizzata (e fanno pure a botte tra di loro). È The Governator a dare una carica di ironia a tutto il film, a consolidare l’effetto nostalgia, a dare legittimità agli avanti e dietro temporali. Del resto, Schwarzenegger è come il suo Terminator: vecchio, non obsoleto, e dopo la carriera politica sta dimostrando di poter fare ancora del cinema come si deve (lo dimostra il recentissimo Contagious che tocca corde completamente nuove della recitazione di Arnold).

Il problema è che Terminator Genisys non si preoccupa di offrire qualcosa di nuovo rispetto a tutto quello già offerto dalla serie. Siamo ancora dalle parti di Terminator 2, più che del primo, con il legame affettivo impossibile che si crea questa volta tra la macchina e Sarah Connor (che è interpretata da Emilia Clarke, la Daeneris Targaryen del Trono di Spade), che addirittura la chiama «Papà» e fa disegni della passeggiate insieme. Entra l’elemento nuovo della gelosia, perché la macchina sa che Kyle Reese sarà il padre di John Connor e lo valuta come se fosse un vero padre. Questo funziona, è divertente, a suo modo addirittura tenero, ma il merito è sempre di Schwarzy. Per il resto a prevalere è la confusione, a vari livelli. Perché le altalene temporali, i piani che si incrociano e sovrappongono, stanno lì senza un minimo di coerenza interna (figuriamoci, è fantascienza, uno non si aspetta che sia realistica, ma che sia quanto meno credibile sì). Anche i momenti di azione sono confusi e privi di struttura (lasciamo una domanda di passaggio: perché il Terminator di Schwarzenegger si lancia dall’elicottero? Cosa vuole fare?).

Insomma, tutto quello che aveva fatto funzionare i primi due film (soprattutto il secondo, che rimane il modello principale) manca. Manca, fortunatamente, anche la noiosa ripetitività del terzo capitolo, ma siamo comunque distanti dall’idea del grande ritorno.

(Teminator Genisys, di Alan Taylor, 2015, azione/fantascienza, 119’)

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LA CRITICA

Trent’anni dopo il primo film torna la saga di Terminator e, soprattutto, torna Arnold Schwarzenegger. Non basta però la presenza di chi ha dato il volto alla saga per tornare ai livelli più alti. A prevalere è soprattutto la confusione e la totale assenza di coerenza nella scrittura. C’è lo spettacolo, ma da solo serve davvero a poco.

VOTO

5/10

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effe

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