“Ventotto domande per affrontare il futuro”
di Theodore Zeldin

Leggere, riflettere, conversare. Il metodo Zeldin per il prossimo decennio

di / 23 novembre 2015

«Ho deciso di andare a trovare i discendenti dei Vichinghi, perché si ritiene che abbiano fondato nazioni che li rendono tra le persone più egualitarie, democratiche, prospere e felici del mondo».

C’è anche un viaggio in Danimarca fra le molteplici esperienze vissute da Theodore Zeldin per stendere le Ventotto per affrontare il futuro (Sellerio, 2015), o meglio gli Hidden Pleasures of Life, come nel titolo originale. Un viaggio necessario per costatare come sebbene il regno nordeuropeo abbia eretto barriere formidabili contro l’ansia (garantendo diffusamente lavoro, salute e diritti), molti dei suoi cittadini più noti si sono sentiti costretti ad andare all’estero, perché molto probabilmente si sentivano «a disagio nel proprio paese». Ci troviamo così di fronte a una delle ventotto domande: «che cosa impedisce di sentirsi a casa nel proprio paese?» e ci troviamo di fronte anche ad un metodo, attraverso il quale Zeldin – eccentrico studioso dell’università di Oxford e consigliere del Brain Trust della Bbc – libera il campo da qualsiasi fraintendimento sugli obiettivi del libro: non creda dunque il lettore di trovarsi di fronte ad un ricettario per la felicità; confidi piuttosto nell’intento dichiarato sin nella prefazione dall’autore, ossia quello di scrivere un libro che inviti a «fermarsi a riflettere dopo ogni capitolo, e a iniziare una propria conversazione a proposito dei suoi argomenti».

Ed ecco il nodo. Se esiste, e ci pare che esista, un filo rosso che lega le ventotto domande, questo è rintracciabile nel concetto di conversazione, unico strumento in nostro possesso per conoscere l’altro, il mondo interiore ed esteriore che lo caratterizza, cosa lo rende persona prima ancora che amico, parente, padre, madre, collega, lavoratore, studente.

Un libro che richiede di essere trascurato e poi ripreso. E in mezzo Zeldin invita a chiedersi chi siano i nostri vicini e perché molto spesso si sentano incompresi; ma anche, come possiamo guadagnarci da vivere in un modo più divertente? Che alternativa abbiamo – se davvero ci sentiamo in catene – a quella di interpretare il ruolo del ribelle?

È il futuro individuale, quello che ci indica l’autore; è quello che vivremo nei prossimi dieci o quindici anni. Un futuro prossimo, se paragonato ai tempi della storia, ma del quale certamente vedremo le conseguenze. Viene perciò istintivo chiederselo: non è proprio il mutamento dell’atteggiamento personale a costituire quella condizione necessaria ancorché non sufficiente per cambiare – sperabilmente migliorare – l’avvenire collettivo?

 

(Theodore Zeldin, Ventotto domande per affrontare il futuro, trad. di Roberto Serrai, Sellerio, 2015, pp. 468, euro 16).

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LA CRITICA

Nessun oracolo, nessuna sfera di cristallo, piuttosto un metodo per provare ad affrontare gli anni venturi. Guardare al futuro conversando sulle idee di un libro. Può funzionare come no, ma è di certo un bel tentativo.

VOTO

6,5/10

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