“Storie assassine”
di Bernard Quiriny

Una nuova raccolta di racconti dell'autore di "La biblioteca di Gould"

di / 9 marzo 2016

Storie assassine, di Bernard Quiriny (L’Orma Editore, 2015), è un titolo che fa da contenitore a una raccolta di ventuno racconti in cui i protagonisti sono oggetti parlanti o pazienti con strane patologie, scheletri che scrivono diari di bordo in alto mare o antropologi intenti a studiare usi e costumi di popoli lontani alquanto bizzarri, ma anche luminari, critici e scrittori che si punzecchiano a colpi di antipatiche rettifiche sulle pagine dei giornali.

Quiriny ha messo insieme questa nuova serie di racconti in seguito alla precedente nonché fortunata La biblioteca di Gould che lo ha reso piuttosto conosciuto anche nel nostro paese e grazie alla quale ha vinto il premio Salerno Libro d’Europa; le sue doti migliori sono senza dubbio la fantasia e la chiarezza nella scrittura ma anche la capacità di intrattenere il lettore accrescendo di volta in volta curiosità e inquietudine, caratteristica che secondo alcuni rassomiglierebbe Quiriny ai grandi Borges e Edgar Allan Poe.

Bisogna ammettere che qualche piccola somiglianza c’è se consideriamo il carattere fantastico di alcuni passaggi o gli elementi macabri di altri (la più grande similitudine con Poe a mio parere si trova nel racconto l’occhio di pavone)ma a identificare Quiriny come un buon narratore è sopratutto la facilità con cui l’autore crea tanti racconti diversi, riuscendo al contempo a raggrupparne alcuni in cicli e a creare dunque una connessione narrativa (Il Giro d’Amazzonia, Rettifiche, I pazienti del dottor Hampstadt) e il suo spiccato senso dell’humour, talvolta nero, che strizza l’occhio ai grandi temi della vita tra cui in particolar modo la morte e il sesso.

La riflessione di Quiriny prende spesso forma di paradosso abbracciando il mondo del surreale, dell’assurdo: gli amanti che si ‘‘azzurrano’’ dopo aver fatto l’amore e la tribù dei Bekamì che al solo pensiero dell’accoppiamento ridono senza freni sono esempi di reazioni umane di fronte a qualcosa di naturale come il sesso, che necessita nonostante tutto di essere esorcizzato con la risata o crea imbarazzo costringendo gli amanti azzurri a nascondersi per sottrarsi ai giudizi altrui.

Molto interessante è il ciclo di I pazienti del dottor Hampstadt, in cui è particolarmente chiaro l’intento dell’autore di rovesciare la norme che regolano la realtà distorcendo la concezione di spazio e tempo; ecco dunque la donna che perdendo il senso dell’orientamento e della distanza impara a camminare all’indietro o l’uomo incapace di distinguere i minuti dalle ore, vivendo così un’esistenza in cui gran parte delle azioni quotidiane diventano una sfida.

Con la serie il giro d’Amazzonia ci vengono illustrate le usanze di alcune tribù per guidarci in una sorta di riflessione su quanto sia noiosa e priva di aspettative la vita dei popoli civilizzati, impegnati a correre senza tregua da una parte all’altra schiavi del lavoro e della realizzazione personale. Nella foresta amazzonica vive un’affascinante tribù i cui membri rinascono ogni giorno, dimenticando ogni mattina la giornata precedente e le persone che hanno conosciuto ma anche mogli, figli, il proprio ruolo sociale, in modo da poter scegliere ogni cosa daccapo, ogni giorno. Un’altra popolazione invece si cava gli occhi in giovane età imparando a ‘‘guardare’’ con gli altri sensi, impartendo una lezione significativa al mondo moderno; come scrive l’antropologo nel suo diario: «In fondo la loro follia è estremamente lucida; hanno capito tutto dell’assurdità del mondo. Sanno che il vero filosofo guarda innanzitutto dentro se stesso, e che gli occhi servono agli uomini soltanto per piangere».

Sebbene i cicli rappresentino i racconti più interessanti, ce ne sono altri autoconclusivi altrettanto efficaci, nonostante in alcuni casi il finale risulti un po’ scontato: è proprio in questi racconti slegati tra loro che l’autore crea le situazioni più improbabili affidando le redini della storia a personaggi talvolta ambigui e dalla personalità instabile, che stanno lì a prendersi gioco sottilmente delle ossessioni e delle paure umane di cui tutti siamo vittime.

La scelta dei racconti può essere un’arma a doppio taglio sia per lo scrittore che per il lettore; se da una parte permettono di spaziare dall’altra rischiano di lasciare un senso di incompletezza o risultare banali come ne la parola agli oggetti, dove a parlare sono un letto, una bara, una penna; il racconto si risolve in un paio di righe scontate in cui manca una vera e proria narrazione e un guizzo geniale, limitandosi a fornire il resoconto in maniera piuttosto banale del pensiero di oggetti che usiamo quotidianamente.

Nel complesso comunque la raccolta funziona grazie alla sua leggerezza. Non è una lettura che vuole sollecitare riflessioni profonde o insegnare qualcosa a tutti i costi, piuttosto ci invita a inclinare la testa ogni tanto e offrire agli occhi un altro punto di vista.

 

(Bernard Quiriny, Storie assassine, trad. di Marco Lapenna, L’Orma Editore, 2015, pp 195, euro 15)

 

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LA CRITICA

Lettura semplice e scorrevole, alcuni racconti incuriosiscono più di altri, un paio sono deboli se considerati nel quadro generale dell’opera ma nel complesso è una lettura che consiglio nel tempo libero per rilassare la mente e lasciarsi scappare un mezzo sorriso.

VOTO

7/10

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