“Tuffo” Dei Mary In June

L'illusione non ci rende migliori, ma ci rende felici

di / 14 settembre 2016

Copertina di Tuffo dei Mary in June

Un flusso di coscienza rabbioso spezza l’aria rarefatta che mi circonda.  Scivolo in una densa bruma. Apro gli occhi, emergo da un mare vischioso e profondo. Ho appena finito di ascoltare Tuffo (V4V-Records, 2016), album d’esordio dei Mary in June, gruppo attivo dal 2010 e già noto nell’ambiente indie di Roma grazie all’EP Ferirsi del 2011.

Confesso che tutto il mio iniziale scetticismo è stato brutalmente spazzato via. Temevo un’imbarazzante banalità e, invece, mi sono ritrovata io ad essere imbarazzata per non averlo ascoltato prima. Quindi non fate come me, non domandatevi perché questi quattro ragazzi abbiano scelto un nome così improbabile. È superfluo e vi farà solo perdere tempo.

Le dieci tracce che compongono Tuffo sono grumi di rabbia che esplodono e sorprendono per la loro intensità. I testi rivelano la volontà di costruire una poetica ricercata e i versi, spesso reiterati, ne amplificano la portata emozionale. Alcuni termini, poi, come mare, orizzonte, oceano e luna si rincorrono per tutto l’album modulando una coerenza interna perfettamente armonica. Ogni pezzo è il preludio del successivo e ogni nuovo ascolto rivela delle sfumature di significato rimaste celate fino a quel momento. Ne deriva, quindi, una struttura circolare perfetta che, con ogni probabilità, vi farà ascoltare l’intero album in loop, per giorni.

Sullo sfondo una discrasia urbana decadente a cui si oppone l’evocazione costante di elementi sensoriali che sospingono le emozioni fino a farle traboccare del tutto. Con Tuffo, dunque, i Mary in June costruiscono un vero e proprio racconto, di cui è parte integrante l’immagine scelta come copertina dell’album. Quest’ultima, infatti, emana uno strano languore, quasi soffocato, ma pur sempre magnetico che attrae e impedisce di distogliere lo sguardo.
L’acqua si trasforma in uno specchio dove veder affiorare i propri demoni. Le canzoni cancellano l’indifferenza di tutti i giorni e per una volta possiamo abbandonarci a noi stessi senza filtri. I Mary in June urlano e lo fanno anche per noi.

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LA CRITICA

Le venature folk evidenti nell’EP Ferirsi sono quasi del tutto scomparse per lasciare spazio a una maturità emozionale totalizzante. E piacevolmente sorprendente.

VOTO

8/10

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