“Café Society”
di Woody Allen

Incrocio d’amore anni Trenta secondo Woody Allen

di / 27 settembre 2016

Poster di Café Society di Woody Allen su Flanerí

L’espressione Café Society venne coniata dal giornalista di costume Maury Henry Biddle Paul per descrivere la bella vita dei frequentatori dei locali di New York, Parigi e Londra nei primi decenni del ventesimo secolo.

È da quell’ambiente che parte il quarantaseiesimo film di Woody Allen in cinquant’anni di carriera. Ci sono tutti gli elementi classici che ci si può attendere da un film di Allen. Molto jazz, molte battute, un po’ di esistenzialismo, una famiglia ebrea piuttosto presente, gli ambienti di Los Angeles e New York sempre in contrasto indiretto uno con l’altro, e quella vena di autobiografia che c’è sempre, da qualche parte.

Siamo negli anni Trenta, il giovane Bobby Dorfamn decide di lasciare New York per cercare fortuna a Hollywood puntando sull’appoggio dello zio Phil, un importante agente delle celebrità del cinema. La prima cosa che fa Bobby a Los Angeles è innamorarsi di Vonnie, disincantata segretaria di Phil. L’amore è impossibile perché lei è impegnata con un misterioso giornalista, ma col tempo qualcosa cambia. Segue avvicinamento, separazione, ritorno a New York, ingresso nella Café Society e un nuovo amore. E altro ancora.

Diciamo subito: Café Society rientra nel novero dei film “carini” di Woody Allen. Strappa qualche risata, affascina per gli ambienti, i costumi e per la splendida fotografia di Vittorio Storaro, alla prima collaborazione, e poco altro. Non ha la grandezza di Moonlight in Paris, per citare uno dei titoli più riusciti degli ultimi anni, ma neanche la rivoltante banalità di To Rome With Love.

Le gonfie riflessioni filosofiche e morali di Irrational Man sono lontane. Qui, Allen si è voluto concentrare sulla struttura narrativa. Ha dichiarato, presentando il film lo scorso anno a Cannes (dove per la terza volta ha avuto il dovere di aprire il Festival) che ha cercato di replicare la struttura di un romanzo in fase di sceneggiatura.

Non c’è niente di sorprendente nell’andamento narrativo di Café Society. È una classica storia di amori complicati e passioni mai dimenticate. Gli anni Trenta sembrano quasi un pretesto. Allen non è mai realmente vicino a Hollywood nel film, come non lo è mai stato nella realtà. Il suo omaggio all’epoca d’oro si limita a un elenco di nomi tirati in ballo dallo zio Phil. Allo stesso modo, i bar newyorkesi sono una cornice come un’altra in cui inserire la seconda vita di Bobby. A prevalere, nel racconto, sono le divagazioni sulla famiglia, dove probabilmente Allen si trova più a suo agio. Nell’ambiente familiare della comunità ebraica di New York, Allen ha modo di ritrovare un linguaggio con cui parlare più semplicemente.

Chiamato per di nuovo, dopo il già menzionato e vituperato To Rome With Love a vestire i panni dell’alter ego del suo mito Woody Allen, Jesse Eisenberg ritrova al suo fianco Kristen Stewart. È la terza volta che i due fanno coppia dopo i film surreali/demenziali Benvenuti a Zombieland (gran film) e American Ultra (molto, molto meno bene). I meccanismi ormai consolidati della coppia fanno bene a Café Society conferendo una buona dose di freschezza e spontaneità.

Probabilmente, i due sono anche aiutati dal fatto che i loro personaggi sono i più costruiti nella sceneggiatura a romanzo di Allen. Non volendo limitare il discorso agli ambienti di Hollywood o New York, Woody finisce per buttare dentro al film una massa di personaggi appena accennati. Ognuno fa capire che ci potrebbe essere molto altro da raccontare. I genitori di Bobby, per esempio, o il fratello gangster. È soprattutto Blake Lively a far capire quanto di più avrebbero potuto dare gli altri attori al film. Nei panni del secondo amore di Bobby, Lively riempie lo schermo per quei pochi minuti che compare. Solo lo zio di Steve Carrell ha avuto più spazio nella costruzione.

Arruolato all’ultimo a sostituire un Bruce Willis insopportabile sul set (così dicono), Carrell trova il giusto equilibrio tra la sua natura comica e l’indole tormentata e drammatica del personaggio.

In attesa del prossimo film – e della serie tv Crisis in Six Scenes in cui torna anche a recitare – Woody Allen prosegue la sua produzione ipertrofica confermando tutti gli elementi già noti del suo cinema, nel bene e nel male.

(Café Society, di Woody Allen, 2016, commedia, 93’)

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LA CRITICA

Woody Allen continua con la sua longevità e iperproduttività cinematografica producendo film a ritmo industriale. Con Café Society conferma, se ce ne fosse bisogno, il suo enorme talento di scrittura, ma è soprattutto la fotografia di Vittorio Storaro a farsi notare.

VOTO

6,5/10

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