“Rogue One: A Star Wars Story”
di Gareth Edwards

La galassia di Guerre stellari si espande

di / 16 dicembre 2016

Poster italiano di Rogue One A Star Wars Story su Flanerí

Le ribellioni si basano sulla speranza. Su una nuova speranza, nel caso della saga di Guerre stellari. Rogue One, il primo film dell’universo fantastico inventato da George Lucas fuori dalla trama principale, il secondo dell’epoca Disney, spiega da dove è nata quella speranza in grado di guidare la Ribellione nella trilogia canonica.

Tutta la trama di questo nuovo film, che si va a collocare temporalmente prima di Episodio IV: una nuova speranza (quello che in Italia era uscito inizialmente come Guerre stellari nel 1977), era contenuta nell’iconica didascalia a scorrimento che accompagnava l’inizio della rivoluzione cinematografica targata Lucas. Si faceva riferimento a un gruppo di ribelli che attacca una base segreta dell’Impero e ruba i piani tecnici di un’arma segreta.

Rogue One parte da lì. Galen Erso, un ingegnere stanco di essere sfruttato dalle forze imperiali, è scappato con la sua famiglia in un pianeta sperduto. Quando l’Impero lo trova e lo porta via, sua figlia Jyn, ancora bambina, rimane da sola nascosta in un bunker. Verrà cresciuta da Saw Gerrera, un estremista della ribellione. Anni dopo, Jyn viene reclutata dall’Alleanza Ribelle per tornare in contatto con suo padre. Da qualche parte sta progettando un’arma segreta di inaudita potenza per l’Impero e solo lei può fermarlo.

È A Star Wars Story, una storia di Guerre Stellari, come spiega il sottotitolo, una storia che si svolge nella galassia lontana lontana ma rimane al di fuori del canone narrativo delle tre trilogie (che grosso modo è identificabile con la famiglia Skywalker e con la Forza). Dopo l’acquisto della Lucasfilm, la Disney ha deciso di sfruttare al massimo il potenziale di Star Wars e tirare fuori quanti più film possibile. L’intuizione fondamentale è stata quella di andare a recuperare soprattutto la trilogia classica (gli episodi dal IV al VI), la più amata dal pubblico, e puntare su un mix di nostalgia e innovazione. L’anno scorso, Episodio VII – Il risveglio della Forza aveva soddisfatto quasi tutti. J.J. Abrams era riuscito a lavare via il ricordo della terribile seconda trilogia (quella da episodio I a III) rinnovando il marchio e allo stesso tempo affidandosi più che mai ai personaggi classici, da Han Solo a Luke Skywalker. Le – poche – critiche arrivate si erano concentrate soprattutto sull’eccessiva vicinanza al capostipite. Episodio VII, in pratica, per alcuni era solo un remake di Episodio IV.

In attesa di far proseguire la saga principale con l’ottavo episodio, Rogue One arriva con un carico di libertà narrativa di cui i film di Star Wars non avevano mai goduto prima. Affidando la regia a Gareth Edwars (ha diretto bene l’ultimo Godzilla), la Disney ha voluto insistere sull’idea di discontinuità all’interno della galassia di Guerre stellari. «Siamo diversi, ma uguali agli altri», direbbe Nanni Moretti. Edwards, quindi, ha continuato a puntare sull’effetto nostalgia ma a funzionare molto di più in questo primo spin-off sono le novità che segnano la differenza rispetto agli standard della saga.

Non c’è più la didascalia a scorrimento che ha sempre introdotto i film, non c’è John Williams a comporre la colonna sonora, non c’è la Forza al centro di tutto. C’è la guerra, come Lucas non l’aveva mai mostrata, c’è un’indeterminatezza tra bene e male mai così marcata, c’è una specie di realismo che riesce quasi a collegare Rogue One al contemporaneo.

Jyn guida il suo piccolo gruppo di ribelli in una galassia schiacciata dall’Impero che pattuglia le strade con i carri armati. Sembrano forze di occupazione in un qualsiasi fronte del mondo reale. I ribelli combattono per la libertà con ogni mezzo, anche commettendo crimini che loro per primi definiscono insopportabili. È la causa, a richiederlo. Non ci sono eroi classici, ci sono personaggi combattuti, pronti a uccidere a sangue freddo. In tempo di guerra non c’è spazio per i valori.

In questo film a metà tra prequel e film autonomo sono molto più importanti le sfumature rispetto al manicheismo della saga principale. Non ci sono il lato oscuro e il lato chiaro, non c’è l’assolutismo del bene e del male. I ribelli di Rogue One si muovono nello spazio grigio tra la luce e l’ombra, fanno quello che devono fare, a ogni costo.

La fedeltà al canone, comunque, rimane nel tema portante del rapporto col padre. Jyn è legata a Galen così come in tutti i sette film di Star Wars i vari protagonisti sono alla ricerca di una figura paterna (Anakin con Obi Wan e l’Imperatore, Luke con Obi Wan e Darth Vader, Kylo Ren con Han Solo e il Leader Supremo Snoke, o Rey con Han Solo e probabilmente con Luke).

Troppo sbilanciato in una prima parte di costruzione che si sofferma eccessivamente sulle parole, Rogue One mostra tutto il suo potenziale nella parte finale che lascia campo aperto all’azione e allo sviluppo dei personaggi attraverso i fatti. C’è da capire dove sia più evidente la mano di Edwards e dove invece sia intervenuto Tony Gilroy, anche sceneggiatore del film, chiamato dalla Disney a rigirare alcune scene a pochi mesi dall’arrivo in sala. Si tratta, però, di dettagli. Rogue One è soprattutto un grande film di intrattenimento che riesce a dare una linfa nuova a una saga immortale inserendosi con uno slancio nuovo all’interno della continuità. Non mancano le strizzatine d’occhio ai fan più accaniti, ma questo è un film tutto nuovo, perfettamente autonomo.

(Rogue One: A Star Wars Story, di Gareth Edwards, 2016, fantascienza, 133’)

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LA CRITICA

Primo spin-off della saga ideata da George Lucas, Rogue One: A Star Wars Story mostra la galassia di Guerre stellari in un modo completamente nuovo, espandendola verso nuovi orizzonti narrativi.

VOTO

7,5/10

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