“L’amore e la violenza”
dei Baustelle

Una riconferma tra le eccellenze

di / 26 gennaio 2017

Nonostante Battiato e gli Alt-J, forse non tutti sanno che la parola “pop” ha fatto il suo corso qualche decina di anni fa e che gli artisti che fanno pop fanno in realtà Avant-Pop. Se una è rimasta a indicare un qualche vago senso comune, l’altra parola mira precisamente a un universo strettamente estetico e metodologico. Ma, come invece tutti sanno, a quasi parità di nome approssimare è d’obbligo. Ecco perché L’amore e la violenza, l’ultimo album in studio dei carissimi vecchi Baustelle, è un’opera Avant bellissima che non tutti hanno capito, non cogliendo, purtroppo (per loro), lo scarto intellettuale tra le due dimensioni.

Lo dice anche Bianconi, esponendosi all’imbroglio: «L’amore e la violenza è un album “oscenamente pop”». Ci toccherà correggerlo, o tradurlo: l’amore e la violenza è un album Avant-pop splendidamente votato alla cultura dei mass media, al riconoscimento artistico dell’enorme influenza che la comunicazione di massa ha sulle nostre individualità. Il citazionismo sfrenato degli intrattenimenti globali come cinema e musica (uno su tutti, “Sandokan” degli Oliver Onions nell’intro di “Basso e Batteria”, ma anche i costanti rimandi a La Voce del Padrone del loro padre illegittimo), che è da sempre il cuore pulsante della composizione di Bianconi, Bastreghi e Brasini, sembra aver raggiunto con quest’ultimo album la tanto ambita purezza della dimensione Pop con la “p” maiuscola.

Ne L’amore e la violenza, infatti, c’è quello che a oggi ha a che fare con tutto questo: c’è la cultura popolare dei riferimenti letterari nell’era dell’Università obbligata, e c’è il contesto neobellico delle nuove chiacchiere da bar tra terrorismo e brexit («Che fesseria la guerra / Quando finirà davvero ce ne andremo in Inghilterra / A far l’amore senza paura / Io e te»). Ma c’è anche la leggerezza musicale colorata dai sintetizzatori e dalle ritmiche, che abbassa i toni, certo, ma non le pretese («Io non ho più voglia di ascoltare questa musica leggera / Meglio sparire nel mistero del colore delle cose quando il sole se ne va»). Come se l’intento dell’intero album fosse quello di attraversare il più profondamente possibile la superficie delle cose, rendercela nelle tematiche attraverso il dualismo guerresco della pietà e dell’abitudine alla morte, e nelle melodie attraverso una revisione consapevole dei suoni anni ’80 – sempre irrinunciabili, da “Amanda Lear” a “Musica Sinfonica”.«Torneremo a fare l’amore, vedrai, a guardarci dritto negli occhi / Ci si abitua a tutto, al dolore, alle stagioni, alla storia, al calendario».

Bandita l’orchestra, il passaggio dalla ricercatezza all’estremamente noto è paradossalmente di una raffinatezza fuori dal comune – della quale, comunque, Bianconi è sempre stato una perla nel panorama italiano. I Baustelle non si inseriscono nella fiumana con la pretesa di essere un elisir curativo e rivelatorio. Bianconi e compagni abbracciano e vestono i cliché emotivi dei tempi post-postmoderni, rifiutando quasi sempre la critica radical chic alla deformità dell’uomo mediatico per aprirci alla bellezza dell’uomo comune nell’aspra contingenza. L’amore e la violenza è un Sussidiario creato per mostrare nella maniera più sensibile possibile non l’appiattimento, ma l’omogeneità trasversale delle paure – paure che derivano da un internazionale bagaglio informativo creato dalla tv, dai video sul web e dai social network. «Lo so, la vita è tragica, la vita è stupida / Però è bellissima,essendo inutile».

Ed è in fondo quello che i Baustelle sono sempre stati, una fotografia sull’essere umano, un racconto fuori dai cardini dei sistemi morali che prescinde da qualsiasi giudizio. La bellezza e la raffinatezza dei tre di Montepulciano si è manifestata (nel corso di sette album in studio in diciassette anni) nel loro saper intervistare quegli «uomini schifosi» di wallaciana memoria, non per giudicarli, ma per mostrarceli come parte di noi, per farci accettare con eleganza e fermezza che oscilliamo tutti tra l’amore e la violenza, la rabbia e la comprensione, l’adolescenza e la maturità, eccetera eccetera.

(L’amore e la violenza, Baustelle, Avant-Pop)

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LA CRITICA

I Baustelle regalano un’altra prova della loro grandissima capacità artistica, per la profondità e la frizzantezza dell’album, per l’ermetismo colorato di una nuova poetica italiana che non si piega ai facili modelli anglosassoni.

VOTO

7,5/10

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