“Elle”
di Paul Veroheven

Verhoeven torna a giocare con la violenza e la sessualità

di / 24 marzo 2017

Poster italiano di Elle su Flanerí

Paul Verhoeven è tornato. A dieci anni di distanza da Black Book, il suo ultimo film, il regista olandese, ormai settantottenne ritorna dietro la macchina da presa continuando, con la sua quindicesima pellicola, un percorso definito e ben riconoscibile che lo identifica come autore vero. Sono stati dieci anni tormentati. Elle doveva essere ambientato a Boston, ma, a detta del regista, nessuna attrice americana avrebbe avuto il coraggio ( e forse anche il talento) necessario per la parte della protagonista Michèle.

Michèle (Isabelle Huppert), donna forte a capo di una grossa società di videogiochi, viene aggredita e stuprata in casa sua. Rinuncia però a denunciare l’accaduto alla polizia e intraprende invece un’indagine personale che la porta a individuare il suo aggressore e a iniziare con lui un gioco pericoloso in bilico fra desiderio e violenza.

A quasi venticinque anni di distanza, Paul Verhoeven torna a miscelare quella sessualità e quella violenza che avevano fatto di Basic Instinct e Showgirls i rappresentanti principali di un cinema erotico a tinte fosche molto in voga negli anni Novanta. Elle è un film che funziona grazie alla simbiosi perfetta fra regista e protagonista. Se Verhoeven è la mente che si dimostra (ancora una volta, è il caso di dire) abilissima nel ritrarre la psiche femminile, Isabelle Huppert è il braccio, il volto dalle mille sfumature che giganteggia sullo schermo. Il suo personaggio ci appare subito come la vittima: stesa a terra, violentata e con i vestiti strappati, Michèle è l’incarnazione della violenza sul corpo femminile. Lo spettatore si identifica con lei, corpo inerme su cui si è abbattuta una forza bruta.

Succede però che Michèle è una donna divorziata, dispotica sul lavoro e nelle relazioni. Ha un giocoso flirt con il marito della sua migliore amica, ma nel frattempo stuzzica il vicino di casa. È incapace di sentimenti veri e profondi. Persino con il figlio che le sta per regalare un nipote ha un rapporto turbolento. A condire il tutto, Michèle ha un pessimo rapporto con la madre che si sta per risposare, e soprattutto è figlia di un serial killer che quaranta anni prima ha ucciso ventisette bambini. Ecco allora che Michèle non può più essere vista come la vittima: è un personaggio ambiguo, le cui ragioni e perversioni sfuggono a una logica lineare.

È un’inesorabile progressione quella di Michèle che accompagna la trasformazione della pellicola nel suo incedere. Verhoeven ha realizzato un film inclassificabile per genere, che spazia dal thriller alla commedia, dal dramma familiare a una sorta di “rape & revenge”. Il regista cerca e trova una forma di straniamento che aliena il pubblico. Lo spettatore non può più identificarsi con Elle, donna spinta verso un estremo che la porta ad accettare uno stupro subito e soprattutto che la spinge a mantenere un comportamento fatto di eccessi, nel lavoro e nel privato. Elle si colloca in un mondo indefinibile in cui l’inscindibilità tra violenza e sessualità si discosta dai discorsi freudiani e abbraccia una sottile ironia che permette al film di scardinare le convenzioni dei generi cinematografici (e sessuali) e sconvolgere le aspettative del pubblico. Una sorpresa per pubblico e critica che l’ha applaudito al Festival di Cannes e ha portato il Golden Globe per il miglior film straniero e per Isabelle Huppert, candidata anche all’Oscar.

(Elle, di Paul Verhoeven, 2016, thriller, 130’)

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LA CRITICA

Poteva siglare la fine della carriera di Verhoeven e invece Elle si dimostra essere la messa in scena della cattiveria dell’uomo (o della donna) in tutte le sue sfumature che sfociano anche nel quotidiano. Un film potente e leggero, sicuramente nulla di già visto.

VOTO

7,5/10

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