Ricrescite

di / 29 novembre 2018

Copertina di Ricrescite di Sergio Nelli

[Tribù]

Per aprirmi la strada con gli alcolisti ho evocato perfino gli avi. Gigi, il bevitore duro e intransigente, uno capace di gesti eroici, ma anche di terrorizzare la famiglia; Michele, l’intermittente, che pure a mio padre capitava talvolta di dover raccogliere in qualche bar; e Nunzia, un donnino bruttissimo, piccola come un pisello, incartapecorita, misteriosa per me come una scimmia esotica, esalata nel sonno a seguito dell’ennesima sbornia. Tutti fratelli di mia nonna, di cui il più vecchio, era stato trovato morto, travolto in un incidente da ubriachezza dal suo stesso barroccio. Ma un’altra versione altrettanto accreditata diceva che fosse stato ucciso dai fascisti i quali, trovandolo sbronzo forte, ci avevano giocato al gatto e al topo. Giulio, invece, il giocatore di calcio, il fuoriclasse, il mio preferito di quella tribù che io talvolta sentivo come il mio ombelico, Giulio, coi suoi tre figli, raramente e solo in vecchiaia alzava il gomito.
Nella sua bottega  d’artigiano di scarpe da calcio ho  fatto il mio unico mese di lavoro  da operaio, nelle vacanze tra la quarta e la quinta liceo… Parecchi anni prima, gli avevo dato una delusione e lui a me, quando era venuto a vedermi giocare al calcio. Mi prese a parte e, con una bonomia pari alla ferocia obiettiva, sentenziò scuotendo la testa: «Sei un terrino».
Voleva dire che non mostravo un buon equilibrio, che mi sbilanciavo troppo, e a calcio senza equilibrio non si gioca. Avevo la testa lontana dai piedi. Un’aletta tecnicamente men che così così. Sarebbe bastato d’altronde guardare un palleggio. Aveva ragione e io lo sapevo, anche se una parte di me voleva a tutti i costi salvarmi. Annuii, accettando quella lezione, dura proprio perché generosa. Avevo la testa lontana dai piedi.
Né manodopera né piededopera…
Il mio bisnonno – raccontava mia padre –, quando aveva bevuto molto, si appoggiava con un piede ai muri, per strada. Mio nonno Beppe era un bevitore imbavagliato. Lo tenevano d’occhio le donne e solo ogni tanto l’ho visto tornare con le guance rosse e gli occhi grigi, piccoli piccoli, ancor più grigi e rimpiccioliti.
Per le novelle che mi raccontava e per la sua bonomia, lo veneravo… Siccome aveva suonato il clarinetto (un quartino), gli dicevano: «Eri bravo, Beppe; ma meglio del quartino hai sempre suonato il mezzine» (mezzine o mezzina, recipiente per contenere il vino, o anche piccolo bicchiere).

Ho divagato. Io mi sono avventurato con il mio bagaglio, ma già sapevo che queste interviste mi sarebbero servite in modo diverso, che avrei usato il registratore come altre volte: per me, per decantazione…

Nel giardino della casa di Fucecchio, i miei zii hanno segato fin quasi all’attaccatura del tronco coi rami: un cachi, un nespolo (sano), due oleandri e due piante d’alloro. Soprattutto guardando il nespolo, con le sue ricrescite e i suoi ributti, ho fantasticato che potesse avere qualcosa in comune con questo diario.

Federico cresce, io ricresco.

 

[In margine]

E in margine al fine estate metto: un odore di sabbia sfilato dal guanciale del mare, tutti gli orologi rotti finiti nel cassetto del mobile antiquario, la terra sotto le suole, i forasacchi secchi nel bagagliaio, copricapo, cappelli, ombrelloni come trame disfatte di traslochi avventizi.

 

Questo passo è tratto da Ricrescite, il romanzo di Sergio Nelli, ripubblicato nella collana “Romanzi” di Tunué.

Sergio Nelli, nato a Fucecchio, vive a Firenze. Decano della ribollente scena letteraria fiorentina, ha pubblicato vari romanzi, tra cui Orbita clandestina (Einaudi, 2011) e il recente Albedo (Castelvecchi, 2017).

Ricrescite: Rinascere è un atto complesso: in uno dei più importanti romanzi ibridi degli ultimi vent’anni, Nelli racconta la capacità di uscire da una crisi.
Il rapporto con il figlio, le stagioni, il lavoro, il paese natale, i moti cosmici, i fantasmi e gli angeli, ogni cosa può farsi tessera di questo ricostruirsi. Con un linguaggio che spezza la pagina in percorsi filosofici e lirici, Ricrescite indaga il rapporto tra l’uomo e la natura a cui dobbiamo allo stesso tempo tutto e niente.

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