Feroce è il ricordo più di ogni altra cosa

“Madonna col cappotto di pelliccia” di Sabahattin Ali

di / 19 aprile 2019

copertina di Madonna col cappotto di pelliccia di Sabahattin Ali

Ho letto questo romanzo su consiglio di un matematico turco, e anche se a Istanbul erano i giorni di Gezi Park, fra i tanti temi di cui avremmo potuto discutere durante le contestazioni io e lui non facevamo che parlare di cibo: eravamo quindi entrambi impreparati ad affrontare una conversazione che non riguardasse mozzarelle o baklava. Lo scambio fu concitato e rapidissimo. Mi mostrò Kürk Mantolu Madonna di Sabahattin Ali ed esclamò: «Fucking amazing! Leggilo!»

Mi spiegò che Madonna col cappotto di pelliccia (Fazi Editore, 2019), pubblicato quasi in sordina nel 1943, era ormai stabile in cima alle classifiche turche e oggetto di un frenetico passaparola in quel periodo di grande fermento politico. Molto di quell’entusiasmo era probabilmente figlio delle vicende dell’autore, Sabahattin Ali, intellettuale turco arrestato più volte perché critico nei confronti delle politiche di Atatürk, e assassinato nel 1948 durante un tentativo di fuga in circostanze ancora oscure.

Iniziai a intuire il perché di tanta eccitazione. Gli chiesi quindi se fosse un saggio politico. «No», rispose secco, «it’s a love story». Non capii: in quei giorni così convulsi, perché una storia d’amore? Quell’urgenza inspiegabile mi spinse a cercare il libro. Sarebbe arrivato in Italia solo tempo dopo, nel 2015 per le edizioni di Scritturapura e nel 2019 appunto per Fazi, nella traduzione di Barbara La Rosa Salim.

Mi avventurai allora nell’edizione francese scoprendo la storia di un incontro, ad Ankara, negli anni Trenta, tra un giovane uomo fresco di assunzione − voce narrante − e il suo collega Raif Effendi. «Viso onesto», «sguardo un po’ assente», Raif viene descritto come «un uomo mediocre, senza tratti distintivi». Deriso da colleghi e superiori, vive in casa una solitudine non dissimile da quella che sopporta in ufficio. La famiglia, chiassosa e arrogante, pare quasi non conoscerlo.

Ci si chiede, lettore e narratore insieme, con una presunzione senza pudore: cosa vive a fare quest’uomo? Cosa nasconde, se nasconde qualcosa, quest’esistenza senza slanci e senza colore?

Il colore nascosto è il nero, si vedrà, come il taccuino che racconta i giorni berlinesi di Raif, inviato nei primi anni Venti in Germania per specializzarsi nella produzione del sapone. Riservato, di «una timidezza che sapeva d’assurdo», il giovane Raif si muove come ubriaco in un Paese confuso e sfiancato dall’inflazione («“Ecco, questa è l’Europa”, dicevo. “Perché tanto chiasso?”»), finché in una galleria d’arte non inciampa nel malinconico autoritratto di Maria Puder: «Cosa c’era in quel dipinto? […] Una strana espressione, un po’ selvaggia, un po’ altera, uno sguardo potente che non avevo mai notato in nessun’altra». Un critico paragonerà quel dipinto alla Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto, perché ritratto di una Vergine diversa, priva di «innocenza esasperata»: la Madonna di del Sarto, come la Maria berlinese con il cappotto di pelliccia, era «una donna che aveva cominciato a disprezzare il mondo».

Prima su tela, poi in carne e ossa nel cabaret dove la incontra, Raif scorge in Maria Puder la meta di un’estenuante ricerca di senso, il motivo del suo vagare. Un incontro che si consuma rapidissimo in lunghe passeggiate, frequenti malintesi, confessioni (Maria, che non riesce a innamorarsi, dice di avere «molti lati maschili» – aggiungendo, «Forse è per questo che sono sola» – e confessa di intravedere in Raif qualcosa «che è tipico delle giovani donne»).

Non saranno felici a lungo, il lettore lo immagina dal primo incontro. Non immagina invece la ferocia del ricordo di quella felicità. Perché il racconto di un amore abbia avuto successo così tardi e in tempi così bizzarri, ancora non si sa. C’è chi suggerisce che, in un paese fortemente polarizzato come la Turchia, Madonna col cappotto di pelliccia sia visto come qualcosa da amare – finalmente – all’unanimità, un classico cui aggrapparsi in acque tempestose.

A noi è arrivata una storia di incomunicabilità, di occasioni e felicità perdute – una vita priva di senso non merita di essere vissuta, sembra proclamare Ali, e non vi è consolazione nemmeno nel succedersi delle stagioni – ma anche il racconto di un amore che libera e completa, in una Berlino che corre verso giorni bui.

 

(Sabahattin Ali, Madonna col cappotto di pelliccia, traduzione di Barbara La Rosa Salim, Fazi Editore, 2019, pp. 210, € 16.00 | Recensione di Fabrizia Conti)
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LA CRITICA

Dalla Turchia di Atatürk a Gezi Park, oggi tradotto in venti lingue: il lungo viaggio della storia di un uomo che si è visto intero e che non lo sarà mai più.

VOTO

8/10

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