L’umanità delle persone comuni

A proposito di “La gente non esiste” di Paolo Zardi

di / 9 settembre 2019

Copertina di "La gente non esiste" di Paolo Zardi

C’è un nucleo profondo comune a tutti i racconti, pur molto diversi tra loro, contenuti nella nuova raccolta di Paolo Zardi, La gente non esiste (Neo Edizioni, 2019): è l’umanità di tutti i personaggi in gioco, e lo sguardo indulgente, quasi affettuoso che dà voce alle loro storie.

Cosa significa in fondo che la gente non esiste? Significa che non esiste quella nozione di altri concepiti come esterni da noi, che guardiamo da una distanza e che hanno l’aspetto stereotipato di chi vive vite medie e compie scelte medie: che è tutto un’illusione.

Esiste invece il singolo individuo, che sopravvive come può alla mediocrità della vita in una vaga, quasi infinita provincia del Nord Italia, e alle aspettative elevate della vita di città; che ama, che prova, che cerca felicità come gli riesce.

La persona che Zardi racconta è l’uomo di “Neolingua”, l’impiegato di un’azienda informatica, che dopo il liceo classico, la laurea in scienze politiche e cinque anni di disoccupazione trova un nuovo sbocco lavorativo in un settore diverso – che di per sé lo soddisfa, se non per «la qualità della conversazione durante le pause», salvata solo da un collega con cui discute il mondo, sfuggendo per un po’ alla banalità: «La felicità non era più un diritto dei cittadini ma un dovere, perché era il comburente del consumo. I soldi, diceva, da soli non bastavano: bisognava avere voglia di spenderli. Per questo motivo il ventunesimo secolo stava eliminando la possibilità di essere infelici e Facebook, che in borsa valeva più di 300 miliardi di dollari, doveva garantire questo risultato. Ecco il centro del suo ragionamento: la mancanza del tasto Non mi piace era ideologica».

Sono anche gli inquilini di un condominio, ognuno solo per ragioni diverse, che in “Warming Day” stringono piccoli legami per alleviare la malinconia, mentre un altro inquilino, troppo preso a cercare di non vedere la propria sofferenza, perde l’occasione di essere parte di quel gruppo male assortito di solitudini incrociate.

È l’uomo che sceglie di rispondere a un’email di Irina, «una ragazza russa di 27 anni, che cercava un uomo da amare, un classico del suo genere», e ne trae un piacere sottile pur rimanendo sempre cosciente dell’inganno, mentre guarda il proprio padre perdere la lucidità; è la coppia di genitori avanti con gli anni sconcertata quando viene citata in giudizio dal giovane figlio gay che li incolpa di non aver accettato il suo coming out.

È la vita di persone semplici, che vivono la quotidianità del mondo contemporaneo con rassegnazione e a volte con gioia inaspettata. È il racconto di piccole illuminazioni, di sprazzi di lucidità improvvisi: dei momenti brevissimi in cui si scosta il velo del mistero e si intravede il senso di essere al mondo, come la splendida madre di “Pattini” che guarda i propri figli al parco giochi e immagina il loro futuro come uno specchio del suo passato: «Un giorno si sarebbero fermati e si sarebbero domandati che fine avesse fatto la propria vita: che ne era stato di quelle promesse, delle speranze che avevano riempito tutti gli anni fino a quel punto. E ci avrebbero messo un po’ a capirlo – o forse non ci sarebbero mai riusciti – che il futuro, le possibilità inesplorate, i sogni, si tramandavano di madre in figlio, come un testimone, e l’unica cosa che davvero contava era mollare la presa sulla vita nel momento giusto».

Paolo Zardi racconta ogni età, ogni condizione di vita – la vecchiaia, la malattia, le disabilità – con lo stesso sguardo privo di preconcetti o di generici buoni sentimenti, con la stessa impietosa umanità. Che parli delle piccole crudeltà dei bambini, o delle improvvise fantasie sessuali di un uomo di mezza età, la voce dell’autore scivola con leggerezza da un punto di vista all’altro raccontando i vissuti di persone comuni che reagiscono in modi a volte incomprensibili a un ineluttabile «orrore quotidiano» da cui solo la fine del mondo potrebbe salvarli.

È in questo senso che si accolgono come una parte quasi necessaria del tutto le incursioni in altri generi, nel fantastico e nella fantascienza, ma soprattutto in un post-apocalittico terribile e attraente, che non è così tanto fine del mondo quanto la fine prossima dell’Occidente: «Le cose erano finite di colpo, oppure erano finite da un sacco di tempo e nessuno ci aveva fatto caso […] La miseria si era portata via quasi tutto, ma erano rimasti il sesso, una fame insaziabile e il libero mercato».

“Il ventunesimo secolo” – ambientato in un mondo non dissimile da quello di XXI secolo, il romanzo con cui Zardi è arrivato finalista al Premio Strega nel 2015 – è un racconto che ferisce in modo più violento degli altri, doloroso ma non per questo privo di ironia. Persino qui, a tenere in vita delle persone già quasi morte, quasi zombie in un paesaggio devastato, c’è la stessa ricerca di piccole felicità, lo stesso filo di speranza che anima tutti gli altri uomini e donne della raccolta, in modo indipendente rispetto alle circostanze della vita.

La stessa improbabile speranza del racconto di vera e propria fantascienza “Vita”, in cui due astronauti che guardano la terra spegnersi dalla loro stazione spaziale e hanno il dubbio di essere gli ultimi due esseri umani nell’universo.

Aleggia sullo sfondo, comparendo a volte in discorsi disparati, il riferimento alla pecora elettrica del romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick, che porta con sé una domanda senza risposta: siamo umani o replicanti? Siamo reali, è reale ciò che viviamo e che abbiamo vissuto – come la donna malata terminale del brevissimo e sorprendente “Un sogno”?

Alla fine della lettura di La gente non esiste tutto resta ciò che è: mistero. Non ci sono risposte rassicuranti, non ci sono scorciatoie o una morale da trarre. C’è però qualcosa di molto più potente: il senso di una vicinanza più profonda con l’umanità, di un’empatia ristabilita con la gente che incrociamo per strada, in spiaggia, per le scale, che solo in apparenza non riusciamo a capire ma che affronta ogni giorno una sofferenza privata non così diversa, non meno assurda e ironica della nostra.

(Paolo Zardi, La gente non esiste, Neo Edizioni, 2019, pp. 207, euro 14, articolo di Daria De Pascale)
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LA CRITICA

I racconti di Paolo Zardi ci mostrano con profonda empatia l’umanità irriducibile nascosta anche nelle persone più distanti da noi, ricordandoci che viviamo tutti lo stesso orrore quotidiano.

VOTO

8/10

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