Nick Cave scrive semplicemente un album strepitoso

"Ghosteen", il nuovo album dell'artista australiano

di / 9 ottobre 2019

Nick Cave ha scritto tanto, tantissimo, nella sua carriera. Non solo musica, ma anche racconti e romanzi. È uno dei più grossi cantautori di sempre. Ha dato tanto alla musica, la musica ha dato tanto a lui. La vita gli ha sicuramente tolto molto. La morte del padre, la tossicodipendenza, l’auto esilio in Brasile per redimersi (e la scrittura del suo capolavoro The Good Son), la morte del figlio.

Non è banale parlare della sovrapposizione tra vita e arte quando si parla del musicista australiano. Nel 2019, a sessantatre anni, scrive un album incredibile, Ghosteen.

La voce è stanca, affranta e proprio per questo potente. Molti brani sono parlati, sorretti da paesaggi sonori distesi, ampi e che il più delle volte appaiono paradossalmente luminosi, dato che dietro a tutto questo lavoro c’è il lutto del figlio, precipitato da una scogliera probabilmente sotto effetto di lsd. È un lavoro che vive di contrasti continui tra luci e ombre. Gli arrangiamenti sembrano quasi drone music (“Galleon Ship”, per esempio). I brani sono diluiti nel tempo, le canzoni sono non canzoni. Non ci sono ritornelli e quelli che ci sono anti-ritornelli.

È impressionante la suggestione liturgica che emerge da Ghosteen: dalla prima e splendida “Spinning Song” al lunghissimo trittico finale “Ghosteen”, “Fireflies” e “Hollywood” pare di trovarsi nel bel mezzo di una messa in una chiesa sospesa in aria dal cui pulpito svetta Cave con i suoi demoni. Riferimenti a Dio come sempre, alla letteratura e alla poesia, questioni focali nella sua produzione artistica.

Passo in avanti rispetto ai comunque ottimi ultimi due lavori, Push The Sky Away e Skeleton Tree, con Ghosteen Cave scrive tra i suoi migliori pezzi di sempre, legati alla perfezione grazie anche agli splendidi arrangiamenti di Warran Ellis e ai suoi  Bad Seeds – che, a dirla tutta, sono messi un po’ da parte per fare spazio a un’architettura sonora contemplativa. Quest’album merita tempo, merita dedizione, merita ascolti lunghi, prolungati. È un album iper-riflessivo, iper-complesso, da cui un po’ alla volta si può assimilare una suggestione nuova. È il classico grande album che per essere assimilato avrà bisogno di anni. Ghostseen – lasciando da parte i giudizi personali – ha il respiro dei grandi album.  È un’unica opera perfettamente coerente da un punto di vista musicale e testuale. Non ci sono praticamente chitarre e batteria. I climax arrivano con la voce di Cave e dalle voci gospel che crescono con la sua, quasi sigurossiane (“Bright Horses”, per esempio). La tensione emotiva raggiunge picchi altissimi senza esplodere mai.

È quasi seccante trovarsi di fronte a tutto il talento di Cave spigionato in Ghosteen: un artista che arriva al suo diciassettesimo album (senza contare le esperienze con i Boys Next Door e i The Birthday Partye che scrive uno dei due/tre album migliori di questo 2019. Cave è il simbolo dell’integrità artistica, di un essere umano che ha una propria concezione del mondo e che la propone e la fa evolvere senza accontentarsi mai del compromesso del mercato.

Nello scorrere del tempo, e quindi nella sua privazione, l’artista australiano non si adagia, ma osa. Che sia la vita a influenzare l’arte di Cave o viceversa, poco importa: Ghosteen è un album enorme e conferma, qualora ce ne fosse bisogno, Nick Cave autore fondamentale dei nostri tempi.

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LA CRITICA

Ghosteen è l’ultimo lavoro incredibile di Nick Cave and The Bad Seeds, tra i migliori album di questo 2019. Siamo di fronte a uno dei più importanti Nick Cave di sempre.

VOTO

9/10

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effe

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