Il grande sogno spezzato dei Management (del dolore post-operatorio)
Il duo abbruzzese torna con il quinto album, "Sumo"
di Luigi Ippoliti / 21 novembre 2019
Ritrovarsi a pensare agli autori di Auff!! porta sempre con sé una dose di malinconia per qualcosa che poteva essere, ma che si è spezzata troppo presto. Due anni fa con Un incubo stupendo, oggi con Sumo. C’è stato un momento, poco meno di dieci anni fa, in cui gli allora Management del dolore post-operatorio sembravano potessero essere una delle band di culto del secondo decennio del 2000. In qualche modo lo sono stati e forse lo sono tutt’ora, ma ciò che è successo nella musica italiana ha cambiato il modo di percepirli.
È già storia il fatto che abbiano mancato per pochissimo la combinazione tendenza/social network, di cui si è nutrito e si nutre ancora tutto il movimento e l’ideologia di tutto quello che viene chiamato itpop. Strutturalmente non adatti a partecipare a uno stravolgimento del genere, hanno cercato negli anni di calibrare il tiro, non riuscendo del tutto a capire come fare.
Qualcosa andò storto, o meglio. Ci fu un’ingenua incapacità di non saper cogliere un momento favorevole. O forse era troppo forte una corrente completamente diversa che piano piano metteva le radici e che negli anni è andata inerpicandosi come un’edera nel panorama musicale italiano. Il che creò una sorta di interruzione di una storia che sembrava poter prendere una direzione, ma che andò a finire invece in tutt’altro posto. La storia, oltretutto, di come un’etichetta, MArteLabel, che soccombe a un’altra, Bomba Dischi.
Perché l’immagine iconica di Luca Romagnoli che durante il concerto del primo maggio a Roma mostra un preservativo come fosse un’ostia, è ancora impressa nella memoria della musica italiana di questo fine secondo decennio del duemila – facile qui il parallelismo con Lorenzo Kruger che si rasa sullo stesso palco: esibizionismo provocatorio fatto ai piedi di uno dei luoghi fondamentali della storia cristiana, in televisione, di fronte a una grossa parte di pubblico che non aveva la minima idea di chi fosse quel gruppo. Era punk, era ribellione, era un messaggio chiaro e diretto, era una presa di posizione: era qualcosa che trasudava nei loro brani.
Quel «sei tutto il porno di cui ho bisogno», oppure «i palazzi quegli enormi cazzi», avevano la capacità di poter essere collante di una simbologia alternativa che in quegli anni si andava ricostruendo dietro l’eredità dei CCCP, Afterhours e Marlene Kuntz e che sembrava essere, prima di loro, nella mani dei Nobraino.
Di fatto, però, sono stati letteralmente fagocitati e ghettizzati da tutto un movimento artisti/pubblico/ mercato che aveva bisogno di altro: Auff!!, del 2012, usciva un anno dopo Il sorprendente album d’esordio dei Cani, che involontariamente apriva le porte a Caltutta e a tutto ciò che ne è derivato. I Management non hanno avuto la forza di tenere testa e di essere coscientemente una valida alternativa.
L’anno scorso il tentativo di ripulirsi, riducendo il nome a un più intellegibile Management. Magari, se non ci mettiamo di traverso, possiamo provare a confonderci in tutto questo enorme calderone, avranno pensato. Oramai, purtroppo, sembrano fa parte di un passato il cui unico sbocco è un presente nostalgico. Il nuovo album di quelli che oggi chiamiamo Management lo si attende con un modo di fare che sfiora il disinteresse, ma che di fondo porta con sé, per chi ha seguito la loro genesi, la curiosità di capire. E chissà, alla fine hanno fatto pure un bell’album.
Ha senso, quindi, un album dei Managment, ora? Che cos’è Sumo?
È un buon lavoro, sicuramente migliore rispetto ai suoi ultimi due predecessori, ma non ci voleva molto. I Love You e Un incubo stupendo, senza giri di parole, erano solamente due album mediocri. Sumo invece ha qualcosa. Qualcosa di già sentito, certo. Qualcosa di fruibile, quantomeno. C’è molto Contessa, nella grammatica della melodia. Una sorta di itpop un po’ più sporco. Lo si riconosce scorrere lungo tutte le tracce (tranne l’ultima “Sessosesso”, che emerge come universo indipendente), lo si tocca, è palese che ci sia – la frase presa da “Chiara scappiamo”, «Lo conferma sempre il cielo grigio di Milano», cantata in quel modo, potrebbe essere di un qualsiasi epigono di Calcutta. Non potrebbe essere altrimenti: è la carta che oggi devi giocarti per provare a uscire fuori se non ce la fai in altri modi.
Fa un po’ tristezza, in fondo, perché i brani funzionerebbero lo stesso. Senza eccedere in paragoni sconvenienti, “Avorio” rimanda un po’ ai The National. Spazzi di drone qui e là (“Sto impazzendo”). Gli ultimi Bloc Party che escono in “Sumo”. Un lavoro cupo che desta interesse. Questo per dire che i bani ci sono, ma che in qualche modo si bloccano dovendosi confrontare forzatamente a un mondo per cui pare obbligatorio per forza passare. Una specie di ultima spiaggia, un’isola dei famosi per emergenti e non.
I Management sono uno strano episodio della musica italiana: cosa sia successo dal punk degli esordi a oggi è, in qualche modo, il cambiamento accaduto in quest’ultima decade di musica in Italia. Peccato, perché Auff!! era il seme di qualcosa che sarebbe potuto diventare molto più di quello che è stato.
Ma continueremo ad ascoltare i Managment, per capire. E magari perché no: avranno pure fatto un bell’album.
LA CRITICA
Ultimo lavoro per i Management, Sumo è meglio rispetto ai suoi ultimi due predecessori, ma non convince del tutto. I tempi di Auff!! appartengono a un’altra era.
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