Documentare la sparizione

A proposito di “Archivio dei bambini perduti” di Valeria Luiselli

di / 9 dicembre 2019

Copertina di Archivio dei bambini perduti di Valeria Luiselli

Archivio dei bambini perduti di Valeria Luiselli (laNuovafrontiera, 2019) è un’enorme scatola che ne contiene molte altre, quasi senza fondo. Contiene un’auto su cui sale una coppia con due figli per partire da New York e attraversare gli Stati Uniti fino al confine messicano: per scoprire quel che resta delle tribù apache, per indagare sui bambini che arrivano dal Centroamerica. Contiene le sette scatole che costituiscono il bagaglio della famiglia, quelle dei genitori pieni di quaderni e di libri, di dischi e di mappe; quelle dei bambini vuote e leggere, con l’idea di essere riempite strada facendo. Contiene le voci dei viaggiatori e i suoni dei paesaggi attraversati che il padre registra ad ogni tappa; i pensieri della donna che sconfinano nei libri che legge di notte, nelle notizie intercettate via radio, nelle riflessioni su progetti letterari e crisi di coppia; i ragionamenti originali e intelligenti, insistenti, a volte commoventi, di due bambini di cinque e dieci anni che cercano di capire dove stanno andando e dove vanno quegli altri bambini che viaggiano da soli: «Dopo tutto quel tempo a campionare e registrare, avevamo un archivio pieno di frammenti di vite di estranei ma non avevamo pressoché nulla della nostra vita insieme. Ora che ci stavamo lasciando alle spalle un intero mondo, un mondo che noi avevamo costruito, non c’era quasi nessuna registrazione, nessun paesaggio sonoro di noi quattro, del nostro mutare nel tempo».

Con questo libro Valeria Luiselli dà seguito, quasi si sovrappone, al precedente saggio del 2017 Dimmi come va a finire in cui raccontava il lavoro di traduttrice svolto presso il Tribunale Federale dell’immigrazione di New York e le domande che vengono rivolte ai bambini provenienti da Messico, Guatemala, Honduras ed El Salvador una volta arrivati nel nuovo paese.

Con quest’ultimo lavoro l’autrice va oltre. Sconfina tra generi letterari differenti e fluidi con pagine che appaiono reportage, diario intimo, album di istantanee e catalogo di cose e rumori. Amplia la narrazione contestualizzandola a livello sociale e privato. Alla storia personale e familiare infatti si affianca la vecchia storia della tribù apache chiricahua e quella contemporanea dei minori invisibili, in una narrazione continua e a più voci in cui si arriva a non distinguere più tra storie reali o inventate, lette e ascoltate o davvero vissute.

Il progetto della protagonista senza nome, che si va delineando e chiarendo lungo strade polverose e motel anonimi, non è quello di indagare da dove vengano i bambini, i motivi che li hanno spinti ad attraversare il deserto senza mappe, i rischi che li hanno fatti scappare da soli, in treno o a piedi, bensì di immaginare dove vanno a finire quelli che scompaiono una volta arrivati, il limbo sospeso di chi non riesce a raggiungere la famiglia americana, la partenza di chi viene rimandato indietro, la vita di chi semplicemente si perde.

Come raccontare una storia come questa? La Luiselli inventa un libro nel libroElegie dei bambini perduti dell’immaginaria Ella Camposanto – che le viene in soccorso inframezzando la narrazione con una storia nella storia, quella di un gruppo di bambini che superano il confine messicano a bordo di un treno clandestino, e che è in grado di riportare attualità e realtà tra gli sconfinamenti del romanzo, che insieme alle polaroid in fondo alla scatola, alla fine del libro, confermano che tutto, o forse solo qualcosa, è vero.

Come le incertezze nella vita di una coppia che sembra sul punto critico di incrinarsi, come le domande dei bambini che rimangono sospese senza risposte, come l’eco di uno dei paesaggi sonori che la famiglia attraversa, per tutto il tempo del viaggio sembra di sentire anche l’eco dei dubbi sull’intero lavoro, esitazioni sul senso di una ricerca come questa e sull’utilità del reportage che ne sarà il risultato, emozioni su cui si interroga lo stesso alter ego dell’autrice: «Preoccupazione politica: come può un radiodocumentario aiutare dei bambini senza documenti a trovare aiuto? Problema estetico: d’altro canto, perché un racconto sonoro o una qualsiasi altra forma di narrazione, del resto, dovrebbe essere concepito per il raggiungimento di un fine specifico? […] Esitazione professionale: ma d’altro canto, l’arte per l’arte non si risolve spesso in un più che ridicolo sfoggio di arroganza intellettuale? Preoccupazione etica: e cosa mi autorizza anche solo a pensare che posso o dovrei fare arte con la sofferenza altrui?».

 

(Valeria Luiselli, Archivio dei bambini perduti, La Nuova Frontiera, 2019, trad. di Tommaso Pincio, 448 pp., euro 20, articolo di Francesca Ceci)

 

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