Il padre sommerso

A proposito di “Città sommersa” di Marta Barone

di / 10 febbraio 2020

Copertina di “Città sommersa” di Marta Barone

Marta Barone ha paragonato Città sommersa (Bompiani, 2020) a una lanterna magica: in un luogo oscuro, attraverso un foro e una lente, il dispositivo conduce lo spettatore dentro una proiezione di fantasmagorie luminose. Questo libro ci mostra, allo stesso modo, le apparizioni di un uomo: il padre dell’autrice, chiamato L.B. nel romanzo, illuminandone le parti della sua vita giovanile, rimasta fino ad allora, almeno per Marta, priva di immagini, vaga, sommersa.

Tutto ha inizio con la lettura della memoria difensiva di L.B. nel processo in cui è stato incriminato, e poi assolto in Cassazione, per banda armata: le carte suscitano l’interesse di Marta, che ne coglie la storia da raccontare. Il faro sulla vita dell’uomo punta sugli anni Sessanta, il periodo trascorso a Roma come leader del movimento studentesco; poi, la rinuncia alla laurea in Medicina (che prenderà solo anni dopo), col trasferimento a Torino. Qui il racconto oscilla tra l’accorato coinvolgimento per le agitazioni movimentiste e la difficoltà di comprendere come il padre abbia potuto far parte della formazione politica Servire il popolo, che tentò in quegli anni di introdurre un rigidissimo regime di vita socialista tra i suoi membri. Una follia ricostruita da Marta Barone attraverso gli opuscoli della propaganda dell’epoca: documenti, tracce di realtà che sembrano provenire invece da un mondo parallelo, distopico, dunque perfettamente a loro agio in un romanzo.

L’autrice, cercando la chiave giusta per ricomporre una vita su carta, ci coinvolge nelle sue ricerche, raccontandoci di sé, del suo lavoro di traduttrice e scrittrice di libri per ragazzi, trasformandosi in un personaggio dal suo stesso romanzo. Perché Città sommersa è un testo fortemente letterario, nell’accezione più genuina del termine: la narrazione, attraverso il mito, diventa lo strumento utilizzato per esplorare la realtà; le persone cambiano nome e diventano anche loro personaggi; le vicende seguono una precisa filosofia di composizione; le citazioni, i libri, ci vengono offerti come riparo dalla semplicità, dalle ovvie risposte, dalle facili conclusioni. Seguiamo così il lavoro artigianale della scrittura (e i colloqui, i dubbi, le notti insonni), i flashback continui e le digressioni insistite, ricomposte in affabulazioni che tendono una mano al lettore, a cui Marta Barone si rivolge direttamente.

Nel fare questo, l’autrice ricostruisce la vita di L.B. seguendone le tracce spurie nei luoghi in cui ha vissuto, per le strade, negli appartamenti: posti da riscoprire necessariamente, poiché costituiscono la vita stessa dell’uomo, ostinato a scomporre la sua esistenza e le relazioni in compartimenti stagni. Il libro diventa così una mappatura, intesa come cartografia dell’anima: è L.B., la vera Città sommersa che lentamente affiora, specie grazie al confronto con le testimonianze di chi gli era stato più vicino, come Agata, la prima moglie. L’autrice cerca e si confronta, dunque, con le uniche tracce pubbliche di L.B., ritrovate nella misconosciuta cronaca locale torinese di quegli anni: il ritratto è quello di una persona conosciuta e amata nel mondo del proletariato, grazie alla sua indomita volontà di aiutare i più bisognosi, alla caratteristica di essere un buono, e tuttavia a volte respinto, forse perché troppo umano, impossibilitato a non tradire la sua purezza.

Quando deflagrano gli anni di piombo, l’autrice deve soffermarsi sulle vicende del nucleo di Prima linea attivo a Torino, con le dolorose ferite del terrorismo, gli assassini che prima di uccidere sorridono «ma solo con la parte di sotto della faccia», scrive Marta Barone in Città sommersa; e poi le morti innocenti, i tragici episodi avvenuti in città, come lo scontro a fuoco nel bar dell’Angelo, nel febbraio del 1979, e l’agguato di via Millio, che causò la morte accidentale di uno studente diciottenne. Un episodio legato anche al destino di L.B., che presterà aiuto, inconsapevole, da medico, a uno dei terroristi feriti, e che gli costerà l’arresto e il carcere.

Mito, romanzo, biografia? L.B., il padre sommerso, resterà inconoscibile; ma dal fondale della letteratura, riemerge tra le pagine. Il rapporto tra Marta e il padre, genitore e prole, si ribalta: la figlia svuota l’acqua, rimuove il superfluo, asciuga le figure. «Il libro esiste perché non c’è più l’uomo», scrive l’autrice che così lo ricrea, riaffermando che L.B., suo padre, sì, ha vissuto.

(Marta Barone, Città sommersa, Bompiani, 2020,  pp. 304, euro 18, articolo di Domenico Ippolito)
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