Di cinque donne e del loro raccontarsi

“Le affacciate”, il secondo romanzo di Caterina Perali

di / 21 marzo 2020

Copertina di Le affacciate di Perali

L’epigrafe che Caterina Perali sceglie per Le affacciate (Neo Edizioni, 2020) è una citazione di Annie Ernaux sulla scomparsa della profondità del tempo, assorbita dal web. La condizione di questo «presente infinito» è quello stato liquido in cui precipita Nina, colta e sarcastica organizzatrice di eventi, appena licenziata immotivatamente per un taglio del personale.

Sceglie come suo principale passatempo la conta dei chiodi delle travi del suo appartamento di Milano e, più che un bilancio esistenziale, questo limbo diventa una resa dei conti con le presunte aspettative della società. Facendo con se stessa (e con i social) un patto di totale rimozione del problema, si abbandona a una quotidianità senza ritmo, in cui la sua ironia trova spazio nelle uniche relazioni che le sono rimaste: i messaggi di testo scambiati con l’amica Anna attraverso lo smartphone e la compagnia di tre mature vicine di casa, riunite in una cena amarcord dal sapore harmony.

Ci si vorrebbe soffermare di più sui personaggi della vita di Nina, che appaiono tra i bagliori di autocoscienza e gli sms con l’amica. Ma il mood dolceamaro proposto dall’autrice si fonda su una narrazione ben salda, condotta attraverso una serie di stereotipi della vita della protagonista. Straordinari di lavoro, appuntamenti mancati, solitudine, movida di quartiere, bevute con le amiche, supermercati bio: in alcune di queste figure esistenziali ogni donna tra i venticinque e i quarant’anni può facilmente riconoscersi. Questo gioco dell’identificazione di genere è molto divertente grazie all’acutezza della scrittura, che pure rimane molto leggera e scorrevole grazie alla brevità dei capitoli e al dispositivo narrativo dell’epistolario istantaneo tra le amiche.

Nina vive infatti a tutte le ore con il telefono in mano e i messaggi che si scambia con Anna sono riportati rendendo palpabile quella dimensione parallela di comunicazione in cui siamo tutti immersi. I dialoghi nichilisti tra le due sono sfasati nei tempi della domanda e della risposta, accogliendo i più svariati argomenti senza approfondirne mai uno. Attacchi terroristici, previsioni meteo, corteggiamenti su Tinder, lavoro, tagli di capelli, personaggi famosi.

Tutto si mischia e si sovrappone, in un rilancio continuo di propositi di incontri e di confronti che non avvengono mai. Anna resta una sorta di sparring partner complice e onnipresente, ma in verità sfuggente. Infatti non aiuta a sciogliere i nodi di Nina, che dopo due settimane dal licenziamento continua a pubblicare finti post con le scene esilaranti di un lavoro che non ha più, rimestando tra foto di archivio e clichés.

La «fragilità empatica» dell’amica a un certo punto fa dire a Nina che «siamo capaci solo di mostrarci» e questa esasperazione finalmente la spingerà a partecipare alla cena organizzata a casa della sua sfuggente dirimpettaia Adele, che insieme alla cartomante del palazzo Teresita, accoglie una misteriosa visitatrice serba, Svetlana. Le «tre grazie», che ormai hanno una certa età ma sono in grande spolvero per l’occasione, sono spazientite dalla dipendenza della giovane dal suo telefonino ma non si fanno distrarre dai loro fitti racconti e dall’abbuffata di paste al forno, piatti tipici e vino, che consumano attorno alla tavola imbandita nel condominio milanese.

Sono forse un po’ lunghi e poco avvincenti i racconti di Adele, sul suo passato di ragazza madre mantenuta da un ricco medico veneziano. E le peripezie di Svetlana, nonostante l’irruzione di Obama nell’intreccio, non valgono la suspense con cui Nina si avvicina a quel «gineceo spettinato». Ma queste tre donne grottesche, affacciate ai ballatoi del palazzo, hanno la capacità di riportare vita e calore nel lettore e nella protagonista, che di affacciarsi alla vita non ha più voglia.

«Vorrei tornare a quando i miei pensieri erano puliti», dichiara a se stessa Nina, sopraffatta dalle notizie dal mondo che inondano il suo telefono. Lasciando intendere che forse il trauma del licenziamento potrebbe essere un gorgo nel quale possono finalmente ricominciare a scorrere di nuovo energie dimenticate e, forse, il desiderio di qualche vecchia o nuova storia d’amore. O il fervore delle manifestazioni degli anni Novanta. Vorrà cambiare la sua vita, questa brillante giovane? Ma, soprattutto, mangerà la zuppa di pesce preparata da Svetlana? Si concluderà con un incontro reale la «rassegna stampa emotiva, rassicurante, e mai deludente» con l’amica Anna? Chi vincerà il confronto sentimentale tra i messaggi frammentati delle due giovani, che durano il tempo di un singhiozzo, e le epopee amorose delle tre donne, che durano una vita?

Al suo secondo romanzo, la cifra del femminile che Caterina Perali dipinge con più vigore è la forza del raccontarsi. Queste donne di diverse generazioni si riconoscono un’eccezionalità grazie alla dote di rendere epica un’esistenza normale agli occhi delle altre. Attraverso la capacità di ascolto e la voglia di trasformarsi insieme alle altre, forse Nina riuscirà a riafferrare il valore del ritmo quotidiano, riconquistando una presenza nel mondo

 

(Caterina Perali, Le affacciate, Neo Edizioni, 2020, pp. 168, euro 11.90, articolo di Martina Pietropaoli)
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