Il teatro di Rachel Cusk

Sulla trilogia dell'ascolto di Rachel Cusk

di / 20 aprile 2020

Copertina di Onori di Rachel Cusk

Leggere Rachel Cusk è come stare di fronte a un palco. Tra le pagine salgono e scendono personaggi che sono solo persone, che parlano di se stessi e che poi si ritirano dietro le quinte. Non riappaiono mai, si limitano a racconti simili a monologhi in cui raccontano di vite normali, di niente che le renda speciali, di episodi emblematici, significativi per qualcosa, del tutto banali, decisivi. Non c’è una trama, non seguono un ordine finalizzato a qualcosa, semplicemente si avvicendano sulla scena con il desiderio forse universale di essere ascoltati, di trovare un breve spazio per potersi esprimere, di incontrarsi e non rivedersi più.

Oltre agli attori sul palco, oltre al lettore in platea, in Resoconto, Transiti e Onori (Einaudi Stile Libero Big, 2018, 2019, 2020) il ruolo principale e nascosto è quello dell’autrice Rachel o della protagonista-non protagonista Faye che dirige e struttura la narrazione in modo unico, insolito e difficilmente dimenticabile.

Faye è una donna di circa cinquant’anni che sembra oltrepassare una nuova fase e attraversare paesi non sempre identificabili. Veniamo a scoprire poco alla volta che ha due figli maschi, che ha avuto un marito che adesso non ha più, che presto avrà una nuova città, una nuova casa e dei nuovi vicini, un nuovo compagno. Che fa la scrittrice e per questo molti dei suoi incontri avvengono durante i viaggi per raggiungere festival letterari, ritirare premi, tenere corsi di scrittura.

La tipologia di persone in cui si imbatte e che decide di parlare con lei è sorprendentemente varia e sincera. Faye sa accogliere le confidenze di sconosciuti in aereo, di operai o vecchi amici, di pochi amori precedenti, di uomini e donne del mondo letterario, agenti, giornalisti, studenti, altri scrittori come lei e da lei spesso molto lontani. Ognuno di loro apre la propria intimità, riesce ad offrirla apparentemente senza remore, come se non aspettasse altro che una domanda o la condivisione.

C’è l’impresario albanese orgoglioso della figlia che parla un inglese migliore del suo, l’ospite inatteso in una casa sconosciuta che non sa più mangiare in modo normale, uno scrittore che ha imparato a consumare solo la metà di ciò che gli serve, un’autrice che svela la reale desolazione di una residenza per scrittori. Ci sono soprattutto molti uomini e molte donne che parlano della propria età, dei propri figli, dei precedenti compagni, qualcuno dei genitori, che ricordano qualcosa del passato o che si sfogano del proprio presente, di quel che è accaduto quella mattina, che temono per il prossimo futuro.
È un’umanità che si racconta in bilico su un filo, in pendenza tra egocentrismo e generosità, a metà tra verità e finzione.

Sulle copertine delle edizioni italiane dei tre libri appaiono le donne senza volto di Jarek Puczel e la scelta è particolarmente indovinata perché sia l’artista polacco che la scrittrice – di origine canadese, che oggi vive in Inghilterra – rendono protagonista una donna inafferrabile e dalla presenza impercettibile, che guarda verso un dove di difficile individuazione, che ascolta, incamera, pensa. È la stessa donna che rimane sullo sfondo ad ascoltare. Che se ne sta in silenzio senza commentare né giudicare, che si limita a frasi intelligenti e spezzate che permettono di conoscerla poco ma di poterla ringraziare silenziosamente. Che si mette da parte per far parlare uno sconosciuto e che rende possibile aprirsi attraverso gli altri.

«C’era una grande differenza fra ciò che volevo e ciò che in apparenza potevo avere, e finché non mi fossi infine pacificata con tale stato di cose, avevo deciso di non volere nulla di nulla».

 

(Rachel Cusk, Resoconto, Einaudi Stile Libero Big, 2018, pp. 192, euro 17; Transiti, 2019, pp. 200, euro 17; Onori, 2020, pp. 192, euro 16,50, trad. di Anna Nadotti, articolo di Francesca Ceci)

 

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