Il primo grande album di Keaton Henson

"Monument", ultimo album dell'artista inglese

di / 11 novembre 2020

Keaton Henson con Monument riesce a fare quello che non era stato capace di fare quattro anni fa con Kindly Now.  All’epoca ci aveva fatto vedere solo superficialmente ciò che agli esordi ci aveva promesso. Aveva dato segnali di qualcosa che sarebbe potuto esplodere definitivamente da un momento all’altro, ma che ha tentennato. Sia nei suoi lavori canonici, sia in quelli esclusivamente strumentali.  Da “Sweetheart, What Have You Done To Us“, summa della poetica e dell’estetica giovanile di Henson, si era arenato in un giochetto che lasciava presupporre un risvolto quasi ironico attorno alla sua figura.

Henson è comunque sempre Henson. Nonostante questo Henson sia  altro. La malinconia è il motore di  Monument che, a differenza del passato, non sembra volteggiare senza un vero e proprio obiettivo, in una autocommiserazione tristemente comica. La voce sussurrata  alla lunga sembrava attorcigliarsi su sé stessa, stancando: qui riesce a farsi collante necessario per la riuscita totale dell’opera. Monument è il punto di raccordo di quello che l’artista inglese ha sempre avuto come potenziale e che nel 2020 riesce finalmente a modellare. Un lavoro meditativo, razionale,  enciclopedico nella sua sensibilità.

Henson ha la capacità di strutturare un disco che pulsa di vita materiale. Al centro di tutto, la grave malattia del padre, che viene raccontata attraverso undici brani che si legano tra loro con estrema naturalezza. “Ambulance” è l’incipit fondamentale  per entrare in questa odissea:  da qui si scivola in un una tempesta fatta di tristezza, la strada si dirama in un labirinto costellato di ballate minimaliste che si mischiano a brani corali, Jeff Buckley che sembra il nuovo cantante dei Sigur Ros, un Vincent McMorrow migliore che finalmente fa il grande salto di qualità. Folk blues che si lega a orchestrazioni. La sua capacità di maneggiare il silenzio non gli si ritorce contro, ma diventa finalmente funzionale a tutti gli effetti.

L’inglese, che non è solo autore di canzoni, ma anche scultore e poeta, a trentadue anni mette un punto sulla sua carriera: con Monument scompare la sensazione di Henson come cantante autore di ballate furbe, aprendosi verso qualcosa da prendere in davvero in considerazione.

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LA CRITICA

Monument è il primo vero grande album di Keaton Henson. Finalmente l’artista inglese riesce a convincere del tutto.

VOTO

8/10

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