Alti e bassi

Su “Svegliarsi negli anni Venti” di Paolo di Paolo

di / 18 gennaio 2021

Copertina di Svegliarsi negli anni Venti di Di Paolo

«Le cose saltavano agli occhi come mai prima». Le cose non saltavano agli occhi come prima. Le cose saltano agli occhi come prima.

Ognuna di queste frasi sarebbe vera nella situazione letteraria che Paolo di Paolo ha creato scrivendo Svegliarsi negli anni Venti (Mondadori, 2020). Solo la prima è tra virgolette, perché è una citazione da Virginia Woolf. Ce ne sono altre, decine, forse un centinaio.

Di Paolo interroga gli anni Venti del Novecento in cerca di una chiave per comprendere se i nati «verso la fine di un secolo si siano fatti condizionare dalla luce scenografica del tramonto. Quella più struggente, più ricattatoria».

Ognuna delle sette parti del libro rivolge al lettore domande esistenziali in seconda persona in un modo che ricorda un po’ (Tanto)3 di Jovanotti. Al lettore di oggi come a quello di cento anni fa, nella convinzione che la storia si approfondisce, s’ispessisce se viene rivangata con gli attrezzi dell’analogia. Ad accomunare questi due decenni sarebbe la sensazione di trovarsi in un’epoca di cambiamento a seguito di eventi sconvolgenti, ma di non poter dire con esattezza quando le cose hanno cominciato a prendere una china allarmante. Né si vuole suggerire che lo schianto sia inevitabile. Il viavai di scrittori coinvolti per un veloce riscontro, però, frastorna a tal punto che il chiacchiericcio si allea al chiasso, e sembra riecheggiare nelle gallerie della modernità ora con ansia ora con attesa.

Mann, Kafka, Werfel, sull’orlo di una civiltà al collasso, per la quale viene naturale immaginare il sanatorio, il castello e il capezzale come l’allegoria di un’agonia secolare. Freud analizza Chaturbate.com, tra gli inglesi che si spaccano durante la tregua estiva dal virus fa capolino Hemingway. Gli expat a Parigi ci sono tutti, l’All-star team scalpita, si apre un varco e scatta verso il futuro colmando l’aria di presagi che non possono che avverarsi. Dall’altro lato del campo, voci ancora opache, fugaci, contingenti. C’è poco mito nel presente, quel tanto che basta a farlo sbadigliare e a prendere provvedimenti contro l’attimo. Così Di Paolo visita i santuari domestici della cultura europea: le dimore di Freud, Bohr, Mann affacciano sulle piazze gremite di ragazzini incazzati con i capi del mondo, sulle strade dai colori digitali, sulle finestre azzurre piene di commenti osceni, xenofobi, idioti. Zauerberg, Zuckerberg.

Per quello che vuole fare, la prospettiva di Svegliarsi negli anni Venti è giusta. Nel senso che non illumina i corsi e ricorsi della storia, non avanza paralleli inquietanti, non si avvolge attorno ai cicli e non pietrifica tutto in un tempo che non passa. La visione dall’alto è l’unica adatta a rappresentare un quadro in cui le figure sono abbastanza distanti da dire che si assomigliano. Una risoluzione più elevata farebbe emergere quei dettagli che dirottano le linee di convergenza.

Gli scrittori creano miti, e una delle tattiche che adottano è cercare parallelismi, somiglianze nell’ordine delle cose. In genere, queste somiglianze hanno due presupposti: si basano su un materiale abbastanza diffuso e generico da restare irrefutabile; sperano nel vizio di sopravvivenza che ci fa vedere solo le analogie andate a buon fine. Abbiamo ormai imparato che allo scrittore occorre ripetere il mantra della ricerca della verità «comunque inafferrabile» e confessare le sue ossessioni personali. Quella di Di Paolo è la misura del tempo. Strano allora che manchino gli estremi temporali delle occasioni giornalistiche da cui si dipana questa mappa mentale di affinità letterarie.

C’è poi un vizio logico-temporale: gli anni Venti del Novecento sono passati, quelli del terzo millennio non ancora. Questa asimmetria fa vacillare il piano compositivo del saggio. Inoltre, si può argomentare con buone prove che a partire dalla rivoluzione francese e da quella industriale l’esperienza della storia abbia acquisito quella dimensione per cui ogni epoca appare di passaggio. Le crisi si avvicendano e preannunciano l’avvento di un’era di rigenerazione. Sotto sotto, però, si reggerebbero su strutture universali, immutabili. La fortuna della parola disruption convive splendidamente con l’evoluzionismo neurologico. Il punto da dimostrare è già incluso nelle premesse e quel che resta è valutare la bontà dei collegamenti temporali e l’abilità con cui Di Paolo in Svegliarsi negli anni Venti rimodula le opere che hanno colto qualcosa dello spirito del tempo.

Che risultati hai, figlio di fine secolo? Alti e bassi.

 

(Paolo Di Paolo, Svegliarsi negli anni Venti, Mondadori, 2020, 192 pp., euro 18, articolo di Giuseppe Cocomazzi)
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